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Il 17 aprile 1944 nell’allora borgata del Quadraro Vecchio di Roma e zone limitrofe, per mano dei reparti tedeschi del Panzergrenadier-Regiment 71, fatti affluire appositamente dalla riserva del fronte sul litorale, e degli effettivi delle SS di stanza a Roma, posti agli ordini del tenente colonnello Herbert Kappler, avvenne il rastrellamento di tutti gli uomini dai 16 ai 55 anni che i nazisti riuscirono a catturare, circondando il luogo ed effettuando una violenta irruzione all’alba nelle abitazioni.
Il rastrellamento di massa, finalizzato alla successiva deportazione nei territori controllati dal Terzo Reich, fu, in ordine di tempo, il terzo organizzato ed attuato dai tedeschi a Roma, dopo quello dei circa 2.500 Reali Carabinieri del 7 ottobre 1943 e quello del ghetto ebraico del 16 ottobre 1943. Esso avvenne in quanto le alte gerarchie naziste, in seguito all’azione di guerra partigiana di via Rasella, che ebbe come conseguenza immediata l’eccidio delle Fosse Ardeatine, diedero l’ordine di provvedere all’evacuazione e alla deportazione dei cittadini romani «dei rioni e sobborghi maggiormente infestati dai comunisti» per poterli avviare al lavoro coatto verso le fabbriche del Terzo Reich.
Dopo aver constatato che l’azione predatoria richiesta dal Reichsführer delle Schutzstaffel (SS) Heinrich Himmler, anche su pressione del generale plenipotenziario per la distribuzione del lavoro Generalbevollmächtigter für den Arbeitseinsatz Ernst Sauckel, non avrebbe potuto espletarsi nei rioni inizialmente prescelti di Trastevere, Testaccio e San Lorenzo, per la mancanza degli uomini necessari (almeno tre divisioni al completo, quindi decine di migliaia di soldati, secondo le memorie di Kappler), la scelta cadde sulla borgata Quadraro.
Il pretesto fu l’uccisione, compiuta il 10 aprile 1944, lunedì di Pasqua, di tre militari tedeschi di nazionalità austriaca, azione alla quale partecipò anche Giuseppe Albano, meglio noto come «il Gobbo del Quarticciolo».
Il luogo dell’attentato fu l’osteria La Campestre, nota come «da Giggetto», che si trovava sulla via Tuscolana, oggi angolo via Calpurnio Fiamma, a meno di 1 Km dalla borgata andando verso Cinecittà.
La borgata Quadraro, per la sua conformazione urbanistica fuori dall’edilizia intensiva (casette ad un piano con orti, baracche, piccoli edifici completamente circondati da prati e campagna) ben si prestava all’esecuzione di una razzia che poteva essere eseguita, nonostante l’estensione dell’area, con relativamente pochi uomini, azione che infatti fu attuata da circa 3 mila militari. Data la presenza di lunghe ed estese gallerie scavate nel tufo sotto le abitazioni, la zona era anche divenuta un buon rifugio per chiunque avesse un motivo per sottrarsi alle ricerche dei tedeschi e del regime di Salò, come renitenti alla leva del Maresciallo Graziani, militari italiani sbandati dopo l’8 settembre 1943, militari alleati in fuga, cittadini ebrei scampa ti alla deportazione, partigiani delle varie formazioni entrati in clandestinità.
Nella borgata avevano anche preso alloggio o erano ospiti di parenti molte famiglie sfollate che avevano perso la loro abitazione a seguito di bombardamenti degli alleati, provenienti prevalentemente da Velletri e zone limitrofe.
I rastrellati furono inizialmente discriminati per età nei locali del cinema Quadraro, dove vennero loro richieste le generalità anagrafiche. Quindi vennero condotti tramite i tram della linea Stfer (poi Stefer) al quartier generale tedesco del comando delle Armate Sud in Italia, posto negli stabilimenti cinematografici di Cinecittà, ove venivano concentrati anche i prigionieri civili in attesa di destinazione.
In due diversi convogli di camion, gli uomini furono poi tradotti nella zona industriale Polymer di Terni, ed ivi alloggiati per circa dieci giorni in una fabbrica in costruzione. Furono quindi avviati via stradale a Firenze dove, per motivi da accertare, un gruppo fu associato al Carcere delle Murate per un periodo imprecisato, prima di essere riunito agli altri. Da lì, partendo dalla locale stazione Campo di Marte, furono condotti via ferrovia a Carpi, per essere immatricolati nel campo di detenzione e transito di Fossoli, sito a pochi km dal centro della città emiliana.
Classificati inizialmente come prigionieri politici, furono nominalmente rilasciati il 24 giugno 1944 e avviati via ferrovia sotto scorta armata al lavoro coatto verso i territori del Terzo Reich, dove giunsero fra il 27 e il 29 giugno nella città di Racibórz (in tedesco Ratibor), sita nella regione della Slesia in Polonia, dove era situato il campo di transito al lavoro.
Da quel momento le strade dei rastrellati si sono definitivamente divise e i singoli individui, in gruppi di diversa consistenza numerica, sono stati destinati in molte fabbriche dislocate in Germania, Austria e Polonia. Queste erano prevalentemente, ma non esclusivamente a vocazione chimica, molte delle quali tuttora in attività produttiva, quali la multinazionale farmaceutica Merck KGaA di Darmstad, la Continental di Hannover e la Kalle & Co di Wiesbaden-Biebrich. I lavoratori coatti, dopo aver subito traversie e sottoalimentazione per circa dodici mesi, hanno iniziato il viaggio di ritorno verso casa a partire dalla seconda metà del mese di aprile 1945, man mano che i campi venivano liberati alla fine delle ostilità (8 maggio 1945).
Il progetto di ricerca dell’Anrp (L’associazione nazionale reduci dalla prigionia) riguardo a questa vicenda, i cui primi risultati sono stati presentati il 3 dicembre 2014 presso la Sala Alessandrina dell’Archivio di Stato di Roma, sta facendo riemergere volti, storie, vicissitudini che sino ad ora erano rimaste sepolte dall’oblio e dal fluire del tempo.
Dall’esame della documentazione è stato possibile acclarare che si tratta di una deportazione di civili italiana, non solo romana, in quanto i 160 luoghi di nascita dei rastrellati sono ubicati in quasi tutte le regioni italiane, con prevalenza di quelle meridionali.
Tra i circa 750 rastrellati si riscontrano cittadini italiani di religione ebraica, partigiani, militari sbandati, carabinieri entrati nella resistenza e tanti semplici lavoratori, prevalentemente artigiani ed edili, aventi la Va elementare come scolarizzazione media.
L’aver prelevato uomini dai 16 ai 55 anni, ha di fatto riunito ben tre generazioni di «quadraroli» nella triste realtà della deportazione, dai nonni che avevano partecipato alla prima guerra mondiale ed erano nati alla fine dell’800 ai ragazzi sedicenni che in alcuni casi non si erano mai recati nemmeno nelle località dei Castelli romani. Uomini che a fine guerra, al ritorno a casa, pressati dai bisogni quotidiani comuni a tutti i reduci, hanno generalmente preferito evitare di rammentare i loro patimenti, lasciando che i loro ricordi restassero solo un patrimonio personale e familiare.
Pertanto la loro vicenda ha avuto scarsa o errata divulgazione pubblica; basti pensare che sino ad oggi si è creduto e scritto che i deceduti in deportazione fossero più o meno la metà, mentre gli effettivi deceduti in prigionia o al ritorno a Roma per cause belliche, malattie o in diretta conseguenza di maltrattamenti, allo stato attuale della ricerca risultano essere 27 individui.
Oltre all’analisi della documentazione inedita derivante dai fondi della Prefettura di Roma e dagli archivi delle aziende ed istituzioni italiane presso le quali i rastrellati hanno successivamente lavorato, l’indagine si è ora estesa alle loro famiglie, allo scopo di ricostruire, oralmente e tramite i documenti personali dell’epoca, le biografie e le vicissitudini, conferendo la giusta dignità alle loro sofferenze e, per estensione, a quelle subite in genere dai civili italiani durante la guerra e l’occupazione, sulle quali, da parte delle Istituzioni, si è molto spesso sorvolato in modo indecoroso.
A tale proposito sullo sfondo della vicenda, come abbiamo accennato nel precedente articolo (leggi qui) è emersa nitidamente la figura del sacerdote parroco di Santa Maria del Buon Consiglio, don Gioacchino Rey, nato a Lenola (LT), chiamato da Pio XI il «parroco delle Trincee», in ricordo ed omaggio alla sua missione di cappellano militare durante la Prima Guerra Mondiale, per la quale gli fu conferita una medaglia di bronzo al valor militare, motivata dalle sue azioni svolte in soccorso dei feriti sotto il fuoco nemico. Don Gioacchino, familiarmente chiamato Luigi, fu colui che si è battuto per la sua borgata sia durante l’azione predatoria che nel successivo conforto e aiuto materiale verso le famiglie dei rastrellati. È grazie alla sua intuizione di raccogliere i nominativi dei deportati che si è potuto nel tempo far riconoscere a buona parte degli aventi diritto le provvidenze e le qualifiche dovute per legge, in quanto gli elenchi dei rastrellati redatti dai tedeschi non sono mai stati reperiti.
Il parroco tuttavia non vide mai tornare i deportati in quanto morì in un incidente stradale a Roma il 13 dicembre 1944.
Allo scopo di valorizzare sia la vicenda storica che la memoria dei rastrellati, l’ANRP ha promosso il conferimento della Medaglia d’oro al Merito Civile alla memoria di Don Gioacchino Rey, decretata dal Presidente della Repubblica in data 07 aprile 2017 e consegnata in una cerimonia al Quirinale, il 12 ottobre 2017 e il conferimento della Medaglia d’Onore per i cittadini italiani deportati ed internati nei lager nazisti, onorificenza ufficiale della Repubblica Italiana ai viventi e agli eredi degli aventi diritto.
E’ anche in corso una istruttoria da Parte della Presidenza della Repubblica per concedere ai pochi deportati ultranovantenni ancora in vita l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica. (O.M.R.I.)
Nell’ambito del progetto e in ricordo del loro sacrificio, su richiesta dell’ANRP, la città di Firenze e le Ferrovie dello Stato italiane hanno apposto il 29 aprile 2016 presso il binario 1 della stazione Campo di Marte di Firenze, una memoria lapidea in ricordo del loro passaggio in quel luogo.