Recenti acquisizioni documentarie hanno permesso di arricchire il quadro d’inchiesta sui retroscena dell’attentato a Giovanni Paolo II[1], mettendo in evidenza il ruolo concomitante coi Lupi Grigi dell’organizzazione terroristica marxista armena ASALA. La storia com’è stata ricostruita si inserisce pienamente in quella dei rapporti tra Licio Gelli, in qualità di agente doppio dal 1944, e l’URSS. Questo nesso si comprenderà meglio nel corso dell’esposizione.

I – IL TRIANGOLO KGB-P2-ASALA
Il dossier n. 876349/07 dell’archivio del KGB, consultato da Pierre de Villemarest, verte su Licio Gelli, “utilizzabile per certe operazioni, a condizione di controllarlo strettamente e di prenderne le distanze una volta che queste operazioni si siano concluse”. Questo dossier cita nove ufficiali superiori del KGB e del GRU e nove dirigenti dell’emigrazione armena ed è stato curato da

Gaidar Aliev, alto funzionario dell’MVD, ossia del Ministero dell’Interno, poi passato al KGB e membro più volte del Politburo. Aliev era originario del Nakhitchevan, nel sud dell’Azerbajgian, proprio nei pressi di quel Nagorno Karabak oggetto di contesa tra lo stesso Azerbajgian e l’Armenia, sia durante gli anni della comune appartenenza all’Unione Sovietica sia, soprattutto, in quelli dell’indipendenza. Aliev, divenuto Presidente dell’Azerbajgian, per resistere alle pretese di Boris Eltsin da Mosca, avrebbe usato quel dossier per minacciarlo di rivelare al mondo le relazioni pericolose tra la vecchia URSS, della quale la Russia indipendente era oramai erede, e il famigerato Maestro Venerabile, di solito considerato un oltranzista atlantico. Il dossier sarebbe stato compendiato nel quotidiano Zarkalo di Baku, nel 1993, ed essendo tale testata molto letta nel Caucaso, in Asia Centrale e in Russia, raggiunse il suo scopo[2]. Ma cosa diceva questo dossier?
Il punto di partenza è la rete terroristica mondiale di cui l’URSS disponeva sin dal 1967, una rete unica nel suo genere. Nel 1968 si tennero una serie di riunioni a Roma nel mese di aprile, mentre nel maggio successivo si tenne a L’Avana un congresso per la liberazione del Terzo Mondo dall’imperialismo, al quale parteciparono diciassette partiti comunisti e centinaia di quadri e militanti. In essi, segretamente, si decise di scatenare la guerra del terrore in America Latina e Medio Oriente. Tra questi movimenti, due o tre traevano linfa dall’emigrazione armena, sotto l’alta supervisione di Alexander Alexevitch Soldatov, detto Francesco, acquartierato a Beirut. Classe 1915, membro della Commissione della Sicurezza di Stato nel 1940, diplomatico come copertura delle sue attività sovversive nei paesi in cui era accreditato, Soldatov è, in questa pista, davvero l’uomo chiave, sebbene la sua ombra si allunghi anche su quella tradizionalmente nota come Pista Bulgara, perché anch’essa legata al terrorismo internazionale, il quale nulla faceva senza il suo beneplacito. Lavorò al Dipartimento delle Americhe tra il 1955 e il 1960, fu Ambasciatore a Londra da quell’anno al 1966 e vi piazzò una rete di centocinque spie con passaporto diplomatico che alla fine il Governo di Sua Maestà Britannica dovette espellere, senza però risalire alla responsabilità della feluca sovietica. Questa venne promossa vice ministro degli Esteri nel 1967 e l’anno dopo andò a rappresentare l’URSS presso Fidel Castro. Tra il 1970 e il 1971 soggiornò in Italia e innervò la Penisola di altre decine di agenti che un tremebondo Governo Andreotti decise di tollerare, nonostante le precise rimostranze del ministro degli Esteri Moro. Soldatov fu poi inviato a Beirut come ambasciatore, in quanto la città era il centro delle attività sovversive sovietiche nel mondo arabo e in Medio Oriente. Egli aveva novanta diplomatici ai suoi ordini, dei quali quaranta erano ufficiali del KGB e del GRU. Uomo dal potere unico ed esclusivo, assolutamente dietro le quinte, Soldatov era anche colui che aveva relazioni, sia pure indirette, con Licio Gelli, le relazioni forse più segrete e sconvolgenti del Dopoguerra, ma che tanto spiegano, anche nell’attentato al Papa, dato il ruolo ambiguo dei servizi italiani, i cui vertici erano tutti nella P2, e non solo di quelli, date le ramificazioni della potentissima loggia in tutti i Paesi europei, sia occidentali che orientali.
Tra il 1969 e il 1970 il terrorismo si abbatté in un modo inedito e spaventosamente violento non solo sull’America Latina, ma anche sull’Europa, perché l’OLP di Yasser Arafat, George Abbash e Abu Nidal si impegnò in una campagna di morte che andava dalla Scandinavia al Mediterraneo, proprio su impulso di Soldatov, che manovrava servendosi dell’ala marxista del nazionalismo palestinese, ossia l’FPLP. “Francesco” aveva una mentalità sistematica e voleva che le varie sigle terroristiche lavorassero in perfetta sinfonia[3].
Una delle principali forze speciali di Soldatov era reclutata nell’emigrazione armena, forte di sette milioni di persone tra Europa e America. Divisi in un certo numero di sigle, gli armeni avevano una fazione dichiaratamente filosovietica, in azione sin dal 1941 in Francia, dove la comunità di quel popolo arrivava a 300000 persone. Il loro capo era Manuchian, che poi sarebbe stato disinvoltamente sacrificato alla Gestapo dai servizi stalinisti per ragioni tattiche. Eredi politici degli armeni filosovietici furono i militanti dell’Armata Segreta Armena di Liberazione, in sigla ASALA, il cui nucleo fondativo esisteva già dal 1970, anche se l’organizzazione nacque ufficialmente solo cinque anni dopo. Fu Soldatov a volerne la nascita, ma non prima di averne ripulito gli ambienti natali. La prima vittima fu Alexander Semionovitch Balakyne, tenente colonnello del KGB, addetto alla sezione per il Medio Oriente del Primo Direttorato del servizio segreto sovietico dal 1968. Balakyne era passato al servizio della CIA; viveva in Svezia col nome di Martin Skakke, ma il suo doppio gioco non sfuggì all’occhiuto Soldatov. Era proprio Balakyne a tenere i contatti con Levon Arutiunian, numero due del gruppo che doveva diventare l’ASALA. I due si videro a Varsavia e l’armeno accettò due milioni e seicentrotrentamila dollari per perseguire gli obiettivi dell’URSS. Si incontrarono di nuovo a Bucarest il 27 dicembre 1969, ma Arutiunian fu ucciso da un gruppo rivale in Palestina e rimpiazzato da Bardassar Nersessian. Balakyne / Skakke gli versò un milione e seicentomila dollari, facendogli notare che il suo compito era quello di disciplinare le azioni terroristiche armene, secondo la direttiva N 329 M del KGB. La Securitate rumena diede poi nel 1970 un valido appoggio logistico ai terroristi armeni, quella stessa Securitate della quale alcuni ufficiali erano massoni della P2[4], obbedendo agli ordini di Nicolae Ceaucescu in persona. Nel frattempo i rapporti tra KGB e armeni si intensificarono, tanto che tra la Lubjanka e il GRU nacque una rivalità che divise Balakyne dal capitano Bulak, appartenente al servizio militare e che voleva imporgli la sua volontà. La conseguenza fu l’assassinio di un certo Marburg, che attirò l’attenzione della stampa svedese sui contatti tra terroristi armeni e agenti sovietici nel paese. Una azione scriteriata che aprì gli occhi a Mosca e a Soldatov. Fu così che Balakyne, dopo un burrascoso incontro con un suo contatto armeno, fu assassinato a Bautzen, nella DDR, nella sua stessa autovettura. A tutti i livelli del KGB, sino al suo vertice nella persona di Yuri Andropov, si accreditò la versione che Balakyne fosse stato un agente CIA. E Soldatov venne incaricato di ripulire il terrorismo armeno, subentrando nella gestione di esso, con pieni poteri, sia al GRU che agli altri cekisti. Il gran maestro del terrore decise di servirsi di un vecchio agente, da tempo tenuto a riposo e diventato molto potente servendo la controparte, ossia Licio Gelli[5]. Il generale Mikhail Vassiliev, detto Garvei, tra i preposti del KGB al terrorismo armeno, ricevette l’ordine di contattare un luogotenente di Gelli altrimenti sconosciuto, ossia Marco Venittola. Questi andò a rapporto a Berlino Est il 3 settembre 1970 e ricevette l’ordine di liquidare le relazioni che, all’ombra della P2, il terrorismo armeno aveva intrecciato con la mafia, mediante l’eliminazione di un certo numero di persone sgradite. Il 16 dicembre dello stesso anno, fu un altro collaboratore sconosciuto di Gelli, Aldo Arezzo, a convocare a Castellamare di Stabia Samuel Tevossian, capo dell’Armata Rivoluzionaria Armena, e ad ordinargli di estendere l’attività del terrore anche ad obiettivi non turchi. Il giorno dopo vi fu un secondo incontro, al quale partecipò anche Soldatov in persona, presentato ad Arezzo da Tevossian come estraneo alla sua organizzazione ma anche suo superiore. Arezzo riconobbe in Soldatov l’emissario di quella potenza superiore dei cui interessi Gelli stesso gli aveva parlato inviandolo in missione. Soldatov chiese se la Loggia controllasse il SISMI e Arezzo rispose affermativamente, anche se, precisò, quegli ufficiali ignoravano del tutto i contatti sovietici della P2. In ragione di ciò, l’Uomo di Mosca e quello della Massoneria cominciarono a concertare piani comuni, nei quali, peraltro, compaiono inquietanti riferimenti ai nomi di Guido Rossa e Piersanti Mattarella[6].
La triangolazione KGB –P2- ASALA era oramai un fatto, secondo questo ordine gerarchico, prima ancora che essa venisse fondata ufficialmente. L’apparato armeno aveva la testa a Mosca e una solida base in quella Bulgaria dove Soldatov aveva fatto nominare Ambasciatore sovietico un suo sodale e dove sarebbe stato condotto e reclutato Ali Ağca. Agenti bulgari a Roma, nei quali il killer turco avrebbe poi trovato sostegno, curavano l’infiltrazione del Vaticano sotto Paolo VI e Giovanni Paolo II. Correva l’anno 1971, lo stesso in cui Michele Sindona, piduista, si incistava nelle finanze vaticane sotto lo sguardo di Gelli, che già sapeva come Mosca avrebbe colto all’occorrenza l’occasione per rovinare economicamente la Santa Sede tramite il Banchiere di Patti, se avesse potuto. Lo stesso anno in cui il dilettante Paul Kasimir Marcinkus si insediò alla guida dello IOR per volontà di Papa Montini e in cui Roberto Calvi divenne il numero due del Banco Ambrosiano, con la tessera della P2 in tasca e sotto l’egida di Sindona, Umberto Ortolani – Gentiluomo di Sua Santità – e Licio Gelli.

Sempre nel 1971, Soldatov incontrò Licio Gelli a Lorenzago, laddove la P2 aveva una segretissima struttura di addestramento militare. I due concertarono gli omicidi di diversi terroristi armeni, dei quali due erano responsabili dell’omicidio di Balakyne. Soldatov teorizzò la cooperazione tra armeni e italiani, con la mediazione sovietica, evidenziando che come la P2 mirava al potere in Italia, così i terroristi armeni volevano ingrandire l’Armenia e di fatto soggiogare la Turchia. Gelli tuttavia non condivideva i metodi terroristici dei guerriglieri armeni, ma dovette rassegnarsi a continuare a far da cane da guardia all’ASALA e, soprattutto, a fare da sponda ai piani sovietici contro il Vaticano, compresi quelli che si sarebbero serviti degli armeni in armi[7]. Con questo viatico, la pista armena dell’attentato al Papa si capisce molto meglio, così come si comprende perché venne del tutto insabbiata proprio nel nostro paese.
II -LA PISTA ARMENA
Essa non surroga quella Bulgara ma la integra e conduce a Mosca in modo molto più diretto, senza bypassare le oramai certe acquisizioni del ruolo della STASI e dei Lupi Grigi nell’attentato a Giovanni Paolo II. Se esso fosse riuscito, la rivendicazione armena avrebbe facilmente chiuso il cerchio delle indagini attorno ad un killer o latitante o opportunamente assassinato sul luogo stesso del suo delitto. La distanza politica tra terrorismo turco e armeno era poi un distrattore efficientissimo di qualsiasi indagine in caso di scoperta della vera identità del killer. Insomma, un piano degno della migliore tradizione sovietica, che portava in Piazza San Pietro tre organizzazioni terroristiche –ASALA, FPLP e Lupi Grigi – e due servizi segreti – DS e HVA – sotto la supervisione del KGB e del GRU e con la neutralità del SISMI, almeno a cose fatte.
Nel gennaio 1975 Hagop Hagopian, assieme ad altri armeni della diaspora libanese e col supporto decisivo del FPLP, fondano l’ASALA. La sanguinosa bonifica voluta da Soldatov aveva raggiunto il suo scopo. Hagopian aveva già militato nel FPLP di George Abbash. L’ASALA ebbe sede nella parte di Beirut sotto il controllo di questa organizzazione. I suoi membri furono addestrati nei campi palestinesi del Libano, dello Yemen del Sud e della Siria. L’ASALA strinse rapporti con il Partito Comunista Laburista Turco (TKEP) di Teslim Töre, nativo della stessa città di Ali Ağca. Da esso si staccò il Partito Comunista Curdo o PKK, con il quale l’ASALA strinse immediatamente relazioni. Il programma dell’ASALA era quello che era stato suggerito a Tevossian, ossia la liberazione dell’Armenia turca, la fine della NATO e di Israele. Esso attira i giovani militanti della Federazione Rivoluzionaria Armena o ARF che, nata nel 1890 nell’Impero Russo, aveva cessato la sua attività terroristica nel 1922 quando l’Armenia era stata annessa all’URSS – indizio forte del fatto che essa, dopo essere stata controllata dall’Ohrana, la polizia dello Zar, era passata sotto il controllo dei servizi sovietici. Anche il suo nuovo braccio armato, la JCAG, nato per fare concorrenza all’ASALA, finì per collaborare con quest’ultima. Queste organizzazioni compirono diverse azioni terroristiche[8].
Esse si realizzarono spesso dietro una serie di camaleontiche sigle, nel secondo lustro degli anni settanta e negli anni ottanta del secolo scorso, tutte però riconducibili all’ASALA. Le più importanti tra di esse avevano un obiettivo: porre fine al programma di emigrazione armena verso i Paesi dell’Est, caldeggiato da USA, Europa e Vaticano, sin dagli inizi degli anni settanta. Esso infatti faceva correre all’Armenia sovietica il rischio di svuotarsi, mentre toglieva al terrorismo internazionale la linfa del reclutamento nella diaspora. In questo piano, i punti nevralgici erano Atene e Roma, nel quadro di quella che ad un certo punto si chiamò Operazione Safe Haven. Essa era a cura di diversi enti prestigiosi: l’INA, l’INS, l’ANCHA, l’HIAS, la Rav Tov, la Caritas Internationalis, l’OIM, il WCC, la Fondazione Tolstoj. Nella Città Eterna vi erano ben sedici pensioni che, lautamente ricompensate, accoglievano continuamente gli armeni in fuga e che, ad un certo punto, diventarono esse stesse bersaglio delle rappresaglie dell’ASALA, senza che però questo ne facesse del tutto interrompere le attività[9]. Il 9 giugno del 1977 l’ambasciatore turco in Vaticano, Taha Carim, venne assassinato in tandem dall’ASALA e dalla JCAG. Dal novembre del 1979 il grosso degli attentati si compì in Italia. Irritato dalla perdurante collaborazione della Santa Sede ai progetti di emigrazione di massa, Hagopian, nella primavera del 1980, in una intervista a Panorama pubblicata il 1 settembre successivo, minacciò di colpire anche il Vaticano e il Papa[10]. La data non è casuale: come ha svelato l’inchiesta polacca sull’Attentato conclusasi nel 2015, nel settembre del 1979 il Politburo del PCUS aveva già deciso di prendere contro il Papa qualsiasi misura necessaria; mentre, come io stesso ho scritto, nell’aprile e nel settembre del 1980 il KGB e il GRU si erano riuniti per decidere la morte di Giovanni Paolo II[11]. Ora una organizzazione terroristica dipendente da Mosca lo minacciava apertamente. Una volta avvenuto il crimine, ci sarebbero stati dei colpevoli e un movente. La minaccia venne ripetuta il 26 novembre del 1979 da un anonimo terrorista dell’ASALA che telefonò alla Reuter per rivendicare tre bombe esplose a Madrid e che chiese al Papa di annullare la sua imminente visita in Turchia, dove però nessuno attentò alla sua vita. Un’altra chiamata, fatta a Beirut da un uomo che parlava arabo con accento armeno, diffidò il Pontefice da recarsi in Turchia per non sminuire la memoria del genocidio degli Armeni perpetrato da quella nazione. Un collage di minacce che, se appaiono più o meno pretestuose, crearono il presupposto per un attentato che non ponesse problemi di rivendicazione[12]. E poco sarebbe importato che a Giovanni Paolo II avrebbero sparato a Roma e non in Turchia o in altre trasferte. La cosa venne presa abbastanza sul serio dalle autorità italiane: il 25 agosto 1980 Armando Coronas allertò i funzionari competenti per le minacce contro il Vaticano da parte di Hagopian – la cui intervista sarebbe stata pubblicata sette giorni dopo[13]. Tali informazioni vennero riprese in documenti del Viminale (26.8.1980), della Questura di Roma (12 e 13.11.1980), della DIGOS di Roma (24.11.1980) e persino del SISDE (18.5.1981)[14]. Tuttavia nulla di concreto venne predisposto, visto quello che poi accadde. Non sono nemmeno casuali altre due cose evidenziate nell’Inchiesta polacca: la recrudescenza terroristica – anche armena – in Italia tra aprile e giugno del 1981, anno dell’attentato al Papa, e la scoperta delle liste della P2 nel marzo dello stesso anno. La prima disorientò gli inquirenti nelle indagini sul tentato delitto sacrilego, mentre la seconda decapitò i servizi segreti italiani impedendo loro di vigilare sul Pontefice. Non si è lontani dal vero immaginando che lo stesso Gelli, che aveva fatto placidamente ritrovare parte delle liste della P2 ai magistrati milanesi, sia stato il direttore di orchestra del terrorismo depistatorio in Italia, incluso quello armeno, al quale si sarebbe potuto facilmente ascrivere la responsabilità della morte violenta del Papa, una volta avvenuta[15].
In effetti, quando Ali Ağca venne catturato dopo il fallito attentato, la prima cosa che disse fu che era un terrorista armeno addestrato dai palestinesi e la cosa parve plausibile, per le minacce di morte dell’ASALA al Papa[16]. Il killer era ben istruito. Anche se poi, disperando del soccorso dei complici, si diede a ricostruire la Pista bulgara con il giudice istruttore Ilario Martella. Ma non parlò mai dei contatti con l’ASALA, che c’erano stati e la cui natura fa capire, a posteriori, le ragioni della sua reticenza sino ad oggi.
Ağca infatti, per il tramite del concittadino Oral Çelik, ha conosciuto ad Ankara, nel 1977, Abuzer Ugurlu, Sedat Sirri Kadem, Atila Ipek, Huseyn Solgun e Teslim Töre. Queste relazioni sono note da tanto tempo, ma nuovi elementi le avvolgono di una diversa luce: Ugurlu, oltre che mafioso e membro del MHP, ossia il Movimento Idealista, il partito politico di cui i Lupi Grigi erano il braccio armato, era un agente del MIT, ossia i servizi turchi, che faceva il doppio giuoco per il DS bulgaro e il KGB. Töre, anch’egli di Malatya come Ağca e Çelik e Kadem e Ozbey (tutti destinati a svolgere un ruolo nelle inchieste sull’attentato al Papa), stava una spanna più in alto degli altri ed è la vera scoperta di questo nuovo filone di inchiesta. Capo di quella che potremmo chiamare la congrega criminale di Malatya – come del resto anche Ağca la descrisse, definendola “Organizzazione” per antonomasia- di lui si sapeva che nel 1977 aveva condotto Ağca in un campo di addestramento di Abbash a Beirut e poi in un altro, gestito direttamente dal DS e dal KGB, in Siria (rimane aperta la questione sull’addestramento del killer a Sinferopoli). Due scuole che avevano messo Ağca in condizioni di cavarsela in qualsiasi circostanza, mediante l’uso della violenza e persino con l’addestramento da agente segreto, in grado di modulare le rivelazioni qualora fosse stato costretto a farne. Due scuole che dimostrano che Töre, avendone le chiavi, era una personalità nel mondo del terrore internazionale. In effetti, Töre, dopo aver fatto politica attiva in Turchia nella sinistra estrema illegale e terroristica del Partito di Liberazione del Popolo Turco (TPLO), per sfuggire alla giustizia si era rifugiato in Siria e a Damasco era entrato nell’OLP e aveva fondato, col suo aiuto, l’Esercito Popolare per la Liberazione della Turchia (THKO), si era sovvenzionato trafficando armi ed oppio ma, soprattutto, aveva lavorato e lavorava per Soldatov, ossia per il KGB. Reclutava aspiranti terroristi e li faceva addestrare. Aveva relazioni con Al – Fatah e probabilmente col DS bulgaro. Viaggiava in URSS, Bulgaria, Cuba, Vietnam. Era noto tra i servizi dei Paesi dell’Est e accreditato come capo dei bolscevichi turchi. Aveva trafugato segreti militari della NATO in Turchia per cederli alla Bulgaria, che aveva ricambiato concedendogli un passaporto e fornendogli armi e munizioni. Nel 1977 aveva abbandonato la lotta armata e trasformato il suo THKO nel TKEP, il Partito Laburista Turco, diventandone il Segretario nel 1980. Faceva parte di quella stretta cerchia di persone che, per conto dell’OLP, ne manovrava le emanazioni terroristiche dell’ASALA e del PKK, nonostante egli fosse turco e quelle rispettivamente armena e curda ed entrambe ferocemente antiturche. Aveva progettato diverse azioni terroristiche dell’ASALA, mentre questa aveva fornito addestramento e supporto al suo TKEP. Nella sua rete, Töre aveva anche Abdullah Ocalan, il capo del PKK. Era stato anche un buon teorico della politica nei suoi scritti giornalistici. Era quest’uomo proteiforme, dunque, colui che aveva introdotto Ağca nel mondo del terrorismo, ma anche il suo diretto contatto con i superiori occulti del KGB[17], un ruolo che probabilmente si divise, a partire dall’ingresso del killer in Bulgaria, con Omer Mersan, la cui triplice connessione con il DS, il KGB e la mafia turca è stata messa in evidenza dall’Inchiesta polacca sull’attentato al Papa[18]. Vale poi la pena di evidenziare le tappe della carriera di Töre dopo il 1981: l’anno dopo fu tra i dirigenti del cartello terroristico FKBDC; sempre nel 1982, fu arrestato dagli Israeliani a Beirut con Ocalan; liberato, riprese in grande stile le sue attività per l’OLP, dirigendone il sessantaquattresimo campo di addestramento e sovrintendendo ad almeno quattro organizzazioni terroristiche palestinesi, fino a raggiungere il grado di colonnello; è lui a pianificare le azioni contro la sua Turchia e a raccogliere a Damasco i terroristi in fuga dal suo paese per poi ripartirli in vari campi di addestramento; nel 1984 fa parte dei capi del Sol Birlik, che unisce partiti turchi e curdi in una insospettabile alleanza del terrore, ma guida anche un migliaio di militanti dell’ASALA tra Irak e Iran; raccorda armeni, turchi e iraniani terroristi bolscevichi, creando per essi i campi del Golestan; è in stretti contatti coi servizi segreti siriani che lo riforniscono di armi sovietiche; organizza un traffico di droga in Europa per acquistare altri armamenti; rientrato illegalmente nel 1988 in Turchia, dopo aver svolto la sua attività di segretario del TKEP dalla clandestinità, nel 1993 viene arrestato e fonda, dalla galera, il Partito Socialista Unito (BSP), si allea col Partito della Democrazia Popolare e partecipa alle competizioni elettorali; nel 1996 è tra i fondatori del Partito della Libertà e della Solidarietà. Rilasciato nel 2001 in attesa di giudizio per le sue condizioni di salute, Töre si è rifugiato in Isvizzera e vi ha chiesto e ottenuto asilo politico nel 2003, per cui la condanna definitiva in Turchia del 2004 non lo lambisce. Muore nel 2019 a Berna. E’ stato, dunque, un uomo influente e pericoloso fino alla fine, pericoloso per tutti, Ağca compreso, di cui fu il vero mentore e che, dal canto suo, difficilmente poteva ignorare chi davvero egli fosse e chi realmente si celasse dietro di lui, anche senza conoscerne le generalità. E si può essere d’accordo con l’affermazione che vede Töre come un regista dell’attentato al Papa, anche se il suo ruolo è tutto da definire. Un ruolo implicito nella negazione ostinata di Töre di aver avuto alcun rapporto con Ağca, considerandolo una invenzione della CIA[19], come da copione dell’Operazione Ragno del DS bulgaro. Un copione ben studiato dall’inchiesta polacca sull’attentato e che, in Occidente, vide coinvolti anche giornalisti, come Luigi Cavallo, legati occultamente alla P2, l’altra faccia della rete di Soldatov[20].
La reticenza di Ağca su tutto ciò venne condivisa con lo Stato italiano, in quanto sin da molto prima dell’attentato a Giovanni Paolo II, il I Governo Cossiga aveva intavolato trattative segrete per porre fine all’offensiva terroristica armena in Italia (aprile 1980), per cui, quando il gesto criminale fu consumato, gli apparati dello Stato ebbero un motivo forte per circondare di riserbo i loro contatti, lasciando gli inquirenti nella completa ignoranza sul tema[21].
Questo filone di inchiesta armeno-sovietico mette in evidenza, nella sua attenta ricostruzione degli spostamenti del solo apparentemente erratico Ali Ağca, alcuni aspetti nuovi o misconosciuti: la lettera minatoria depistante, dai forti toni nazionalistici, del 25 novembre 1979 che il killer appena evaso dal carcere scrisse contro Giovanni Paolo II, prossimo a viaggiare in Turchia e al quale tuttavia, durante quel pellegrinaggio internazionale, nulla accadde, sebbene sarebbe stato un obiettivo facile; il ruolo di Teslim Töre, accanto a quello di Çatlı e dei comunisti iraniani, nell’ingresso del killer turco in quel paese; il ruolo di Kuzhickyn per lo spostamento di Ağca dall’Iran alla Bulgaria (evidenziato anche dall’Inchiesta polacca); la connessione tra la mafia turca di Bekir Çelenk – alto protettore di Ağca presso i bulgari – e quella armena, comprese le cosche finanziatrici dell’ASALA; il soggiorno romano di Ağca – tra il dicembre 1980 e il gennaio del 1981 – nella Pensione Archimede, appartenente alla rete di quelle che ospitavano i fuoriusciti armeni verso gli USA; il secondo passaggio jugoslavo di Ağca, che tenta da quel paese, nel marzo 1981, di entrare in Italia con un visto che però gli viene negato perché egli risultava ai nostri servizi già da allora collegato al FPLP; le sovvenzioni e gli aiuti di Belgrado al terrorismo palestinese ed armeno per stornare da sé le loro minacce; i contatti di Ağca con agenti bulgari e tedesco orientali durante il suo soggiorno a Palma di Maiorca tra aprile e maggio del 1981; i movimenti dei trafficanti armeni e turchi nelle Baleari in quel lasso di tempo; il soggiorno del killer alla Pensione Isa – altro terminale della diaspora armena verso Occidente – nei giorni antecedenti all’attentato; le notizie del SISDE sull’incontro tra Ağca e un anonimo esponente del terrorismo armeno a Roma l’11 maggio 1981 e quelle sui rapporti tra Çelik, Çatlı e l’ASALA; le notizie precocemente depistanti che circondano il turco vagabondo prima ancora che giunga in Piazza San Pietro, attribuendogli legami con la Libia e il Mossad e intenti terroristici tanto variegati quanto improbabili[22]. Un insieme di elementi che dimostrano come gli spostamenti del killer turco mirassero sin dall’inizio a Roma, si rivestissero di nebbie depistatorie e si avvalessero di un sostegno logistico in cui il ruolo servente dell’ASALA – e della mafia turco-armena – non può essere misconosciuto. Tanto più che l’alloggio alle pensioni Archimede e Isa fa intendere che il killer poteva spacciarsi quale fuoriuscito armeno, a dimostrazione che anche nella rete di esfiltrazione di quegli espatriati, gestita dagli Occidentali, vi erano potenti agganci del KGB e dei suoi satelliti. Ossia conferma quel che dicevamo all’inizio sulle connessioni tra terrorismo armeno e l’emigrazione di quel popolo, secondo il disegno di Soldatov.
Gli elementi in tal senso continuarono ad accumularsi anche dopo l’arresto di Ağca: già il 14 maggio, al Gazzettino, arrivò una rivendicazione dell’attentato da parte dell’ASALA, in collaborazione con l’OAS – l’intento depistante era evidente – e dodici giorni – con molto comodo – dopo i Carabinieri la comunicarono al SISDE. Coronas, il 17 maggio, in un teleradio inviato ai prefetti e ai questori, informò che l’ASALA aveva annunziato attentati contro obiettivi turchi per vendicare quello al Papa – così da intorbidare le acque del mare delle rivendicazioni – mentre il 18 maggio il SISDE in un promemoria interno ipotizzò connessioni tra l’attentatore e l’ASALA. Tale connessione venne rilanciata dal Terrorism Activity Bullettin del 1982. Significativo fu che, il 30 maggio del 1981, il SISDE, scrivendo al CESIS, smentì di aver avuto notizie su un imminente attacco armeno al Papa, nonostante la documentazione in tal senso che abbiamo poc’anzi citata, e questo per non essere coinvolto in una polemica per le falle nel sistema di sicurezza ma anche per tenere il segreto sulla trattativa in corso. Il 22 luglio Ağca venne condannato in seguito alla Prima Inchiesta come unico esecutore dell’attentato al Pontefice, ma il 3 e il 17 agosto il SISDE, nei suoi documenti interni, uno dei quali destinati al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, collegò il turco all’ASALA e questa al KGB. Vi era dunque un motivo ancora più serio per essere reticenti sull’argomento, ossia evitare di aprire una controversia con l’URSS. Sebbene il 25 ottobre del 1981 vi fosse l’ultimo attentato armeno in Italia, il 14 novembre il SISDE registrò l’intento dell’ASALA di sequestrare un diplomatico turco accreditato a Roma o in Vaticano per chiedere in cambio il rilascio di Ali Ağca. Lo stesso intento fu rivelato da Francesco Pasanisi, Ispettore di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, al Sostituto alla Segreteria di Stato, Eduardo Martinez Somalo, il 19 novembre. Poi, come sappiamo, gli ostaggi sarebbero stati due ragazzine, ossia Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi[23]. In tal modo i veri intenti ricattatori erano stati mistificati ai (o dai) nostri servizi. In effetti, dopo il Sequestro Orlandi, in una telefonata al padre della ragazza, avvenuta l’8 luglio del 1983, l’anonimo telefonista incespicò sulle parole e confuse parzialmente ASALA e ANSA, così da lasciar nascere il dubbio – forse appositamente – di una presenza dei terroristi armeni anche nella logistica di quest’ennesimo crimine. La cosa venne puntualmente registrata in un appunto del SISDE, datato 22 luglio[24]. A pochi mesi dal sequestro Orlandi – Gregori, il Governo Craxi e il ministro degli Interni Oscar Luigi Scalfaro siglarono l’accordo segreto con l’ASALA, interrompendo il flusso di emigrati attraverso l’Italia (19 agosto 1983). Come si vede, la rete logistica e depistante attorno all’attentato al Papa e ai fatti concomitanti si sviluppò anche dopo di essi.
La risultanza di questo filone, dunque, appare che, come dicevamo all’inizio, in Piazza San Pietro erano presenti almeno tre organizzazioni terroristiche – i Lupi Grigi (operativi), l’ASALA e il FPLP (di supporto) – e quattro servizi segreti – il RUMNO bulgaro e l’HVA (operativi) e il GRU con il KGB (supervisionanti). Ma anche che, se l’attentato fosse riuscito, il movente armeno avrebbe procurato un colpevole agli inquirenti. E che Ağca aveva un filo diretto con il vertice della piramide criminale per cui lavorava, ossia con Soldatov, la cui rete terroristica aveva amalgamato al suo interno tanto sapientemente spezzoni diversi di organizzazioni criminali da non permettere di sceverarle in modo chiaro, forse mai.
[1] EZIO GAVAZZENI, Il Papa deve morire, Milano 2025.
[2] DE VILLEMAREST, Le KGB, pp. 207.
[3] ID., ibid., p. 208.
[4] Su questo complesso tema MASSIMO D’AGOSTINO, Sanità, economia e ambiente dalla guerra fredda ai giorni nostri, academia.edu, pp. 128-156.
[5] ID., ibid., pp. 209-211.
[6] ID., ibid., pp. 211-213.
[7] ID., ibid., pp. 213-215.
[8] GAVAZZENI, Il Papa deve morire, pp. 54-65.
[9] ID., ibid., pp. 11- 54; 66-95. 171-207.
[10] ID., ibid., pp. 71. 83.
[11] V. SIBILIO, L’attentato a Giovanni Paolo II e la Guerra Fredda, pp. 20-21. 80.
[12] GAVAZZENI, Il Papa deve morire, pp. 208-209.
[13] ID., ibid., pp. 215-216.
[14] ID., ibid., pp. 253-254.
[15] SIBILIO, L’attentato, p. 78.
[16] GAVAZZENI, Il Papa deve morire, p. 114.
[17] ID., ibid., pp. 161-165.
[18] SIBILIO, L’Attentato, p. 79.
[19] GAVAZZENI, Il Papa deve morire, pp. 165-170.
[20] SIBILIO, L’attentato, pp. 77-78.
[21] GAVAZZENI, Il Papa deve morire, pp. 292-344.
[22] GAVAZZENI, Il Papa deve morire, pp. 110-160.
[23] ID., ibid., pp. 243-276.
[24] ID., ibid., p. 330.
© Gianvito Sibilio, 2025
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