Una missione di mitragliamento di 94 P-38 distrusse 33 aerei nemici a terra a Foggia. Altre missioni di supporto – si legge in un dispaccio americano – note quel giorno includevano un attacco di 18 B-17 sulla strada Salerno-Avellino e un raid efficace di 35 B-24 contro gli scali ferroviari di Pescara. Quattro bombardieri e sei P-38 risultano dispersi a seguito di queste operazioni. Il 19 settembre il nemico sembrava adattare la sua linea alle alture a nord di Eboli-Contursi, ruotando sulle sue posizioni saldamente tenute attorno a Salerno1.

Lockheed P-38 Lightning (“Fulmine”) era un caccia pesante bimotore statunitense a largo raggio d’azione.

Nella notte tra il 24 e il 25 settembre i Wellington britannici bombardarono le installazioni portuali di Livorno con 107 tonnellate di ordigni coprendo l’intera area e distruggendo le navi nemiche. Nel frattempo i bombardieri leggeri alleati presero di mira le principali vie di comunicazione e un’area di bivacco tra Benevento ed il capoluogo irpino. Del resto, proprio il 24 settembre la Quinta Armata, esercitando una pressione crescente a nord di Salerno, aveva incontrato una dura resistenza ad opera delle truppe tedesche; ma, la Terza Divisione statunitense aveva fatto registrare qualche progresso in direzione di Avellino. Qualche giorno dopo, per la precisione il 26 settembre, l’8a Air Force segnalava che, probabilmente, 41 aerei nemici erano stati abbattuti e le truppe tedesche si erano ritirate verso ovest sulla linea nord-sud attraverso Lucera e sul lato ovest fino alla linea generale Avellino-Vesuvio2.

Il 14 settembre 1943 anche la città di Avellino divenne teatro di un massiccio bombardamento ad opera dell’aviazione alleata che, nell’intento di sbarrare la strada alle truppe germaniche in ritirata, sganciò migliaia di ordigni sul centro cittadino. Purtroppo, sotto questi bombardamenti persero la vita anche il mio bisnonno paterno, Alfredo Preziosi (ex appuntato della Guardia di Finanza in congedo che allora svolgeva la mansioni di portiere) con la figlia Lucia, come riportato sulla lapide che sorge proprio nei pressi del Palazzo Municipale.

Come scrive il prof. Cannaviello,

nell’annesso giardino [dell’antico palazzo Capozzi, oggi palazzo Cucciniello] hanno trovato morte per spostamento d’aria il dott. odontoiatra Manlio Papa coi figli Glauco e Licia e la cameriera, ed il portiere Preziosi con una figlia3.

L’altro figlio quarantatreenne, mio nonno Giovanni, invece, se la cavò per un pelo perché si trovava a qualche isolato di distanza – per la precisione nei pressi di Piazza d’Armi – e lo spostamento d’aria provocato dall’esplosione di un ordigno piovuto improvvisamente dal cielo, lo scaraventò violentemente sul selciato. Rimediò – si fa per dire – soltanto delle ferite sebbene una scheggia che, sfortunatamente, si conficcò sotto il palmo del piede lo costrinse per il resto della sua vita ad un incedere claudicante.

Il giorno seguente (27 settembre) – si legge nel Daily operational summary stilato dal War Department per la Casa Bianca – 24 B-26 colpirono Sarno con oltre 44 tonnellate di bombe; le missioni di caccia alleate colpirono il campo di atterraggio di Pomigliano e attaccarono il movimento stradale a Benevento e vicino a Foggia. Il nemico si è ritirato dalle alture di comando a nord-ovest di Salerno e si è ritirato verso Avellino. Si dice che i tedeschi stiano evacuando l’intera area di Foggia, lasciando le retrovie lungo la linea generale Manfredonia-Foggia-Melfi. Un comunicato tardivo segnala la presa di Foggia4.

Il 1° ottobre 1943 i primi reparti americani del 7th Infantry Regiment della 3rd Division fecero il loro ingresso nel capoluogo irpino. La Divisione era composta da formazioni corazzate e leggere supportate da potenti jeep che s’inerpicarono sui cumuli di macerie causati dai crolli lungo le strade della città. A differenza dell’accoglienza loro riservata in altri luoghi, ad Avellino i soldati del contingente alleato trovarono una città prostrata, vuota e rasa al suolo, con sporadici spettatori che assistevano increduli ed entusiasti allo stesso tempo, l’ingresso vittorioso delle truppe statunitensi.

L’ingresso delle truppe alleate ad Avellino lungo via Francesco Tedesco.

Il calvario della popolazione avellinese si protrasse fino al 1° ottobre, giorno in cui fecero il loro ingresso trionfale in città le prime camionette dell’esercito americano e gli ufficiali alleati presero possesso ufficialmente della Prefettura facendovi issare il vessillo a stelle e strisce. Si concludeva, così, un incubo e con esso l’angoscia per i bombardamenti aerei, che a prezzo di ingenti sacrifici avevano incrinato il fronte interno, seminando ovunque morte e distruzione, e messo in ginocchio la già precaria economia avellinese, lasciando con un palmo di naso tutta la popolazione, che per qualche istante aveva accarezzato l’idea di essere risparmiata dalla furia omicida di quelle letali deflagrazioni. Il 1° ottobre, dopo che presero possesso della città, le forze alleate tentarono di coinvolgere direttamente nel problema politico del riassetto statuale, anche la gerarchia ecclesiastica che, immediatamente, si propose tutrice dei bisogni dei fedeli, qualificandosi come interprete degli interessi del popolo5.

Truppe del 7th Inf Regt. 3rd Div. in fila indiana lungo entrambi i lati della strada che porta ad Avellino – si legge nella nota che descrive le immagini del filmato girato in quella circostanza dagli americani –.
L’American Inf. in formazione di squadra che cammina attraverso la città che è stata sottoposta a fuoco di artiglieria e bombardamenti. Le truppe attraversano le strade disseminate di macerie e oltrepassano i grovigli di filo spinato6.

Filmato del bombardamento di Avellino (14 settembre) e del successivo ingresso delle truppe alleate ad Avellino

Proprio in questa circostanza il cronista del Santuario benedettino di Montevergine così annotava questi avvenimenti tra le pagine delle cronache monastiche:

Una forte resistenza opposta dai nuclei tedeschi sulle alture di Montoro impedisce ai reparti della Vª Armata americana sbarcati a Salerno di giungere qualche giorno prima ad Avellino, indi la nostra liberazione la dobbiamo attendere dalle truppe che scendono dalla strada di Volturara. Già ieri potemmo scorgere col cannocchiale dell’osservatorio e con forti binocoli imponenti colonne di automezzi che scendevano per la tortuosa strada di Salza Irpina occupando Atripalda e paesetti circostanti. Nel tardo pomeriggio occupano Avellino. Quest’oggi nelle ore meridiane occupano, tra l’immenso giubilo della popolazione i paesi circostanti. Dal nostro Santuario possiamo osservare passo passo la loro avanzata. Gli Alemanni si ritirano verso S. Angelo a Scala distruggendo tutti i ponti e facendo saltare con mine precedentemente apposte caseggiati a scopo di ostruire le strade. Anche il ponte che dopo Ospedaletto conduce al Santuario, benché di nessuna importanza bellica perché posizionato su strada cieca verso le ore 12 salta. Il nostro saluto al liberatore (?) é dato con uno scampanio a festa. Il campanone che dall’otto settembre si era chiuso in un lugubre silenzio fa sentire di nuovo la sua voce sonora e grave. In tutta la conca Avellinese continuano scoppi di mine con crolli di importanti pareti e viadotti. Rimane illesa la strada che da Avellino per il bivio di Valle–Mercogliano prosegue per Ospedaletto–Summonte. Su questa strada oggi e nei giorni successivi rombano le migliaia di automezzi delle colonne motorizzate americane. Gli ospiti del Santuario cominciano a sciamare. Nel pomeriggio le prime macchine americane con soldati ed ufficiali giunge al Santuario, accolta da grida di gioia degli sfollati. Il Superiore offre loro del vino. A Loreto un gruppo di ufficiali appartenenti al comando delle truppe operanti chiede ai monaci ospitalità che viene loro concessa ben volentieri7.

Le truppe alleate percorrono il Corso Vittorio Emanuele ad Avellino tra cumuli di macerie causati dal bombardamento.

Per instaurare un clima più disteso e collaborativo con le nuove autorità alleate appena giunte in città, pochi giorni dopo, per la precisione il 10 ottobre, il

Maggiore Sisson, americano, comandante militare della Provincia di Avellino fa una visita a Loreto. Viene invitato insieme al Commissario Prefettizio Di Tondo al pranzo al Santuario. Accetta molto ben volentieri8.

Poco dopo, tuttavia, il 20 novembre, l’Amministrazione Militare Alleata, al comando del maggiore Charles P. Sisson, dopo lunga discussione dispose che l’Istituto delle Suore Benedettine di Mercogliano – un paesino alle porte di Avellino – doveva essere adibito per caserma delle truppe canadesi che proprio in quei giorni erano sbarcate a Napoli.

Tale notizia – scrive il cronista verginiano – è un fulmine a ciel sereno, ma essendo stato dato il termine di sfratto per il 23 mattino, mentre si ricorre ai ripari, prudentemente si cerca di mettere in salvo la suppellettile. Si chiede per favore al Colonnello il prestito di due camion con soldati per l’effettuazione di tale trasporto. Il Colonnello annuisce benevolmente e durante tutto il pomeriggio di oggi, biancheria e parte della mobilia delle Suore viene trasportata a Loreto. Intanto si cerca di chiarire la cosa presso l’autorità militare canadese di Avellino: tale casa non é un semplice collegio ma un monastero di suore, ivi coabitano anche molte orfanelle. Il Maggiore Horns cortesissimo nelle risposte é stato anche chiaro nel contenuto: «non c’é nulla da fare; un locale che possa albergare 2000 canadesi non é facile trovarlo; il Clero in Francia, durante la scorsa guerra si prodigò in favore degli Alleati e la guerra fu vinta, faccia lo stesso il Clero italiano e la guerra attuale sarà ugualmente vinta9.

Tra questi soldati c’era anche il giovane ventinovenne Jimmy Tofin, originario di Ashcroft nella Columbia Britannica, che si era arruolato nell’esercito nel 1942 e aveva finito per trascorrere del tempo in 12 paesi diversi durante i suoi quattro anni di servizio. Alla fine del 1943 attraversò l’Italia come parte dell’avanzata alleata e, poco prima di Natale, si ritrovò nella città di Avellino.

Avellino – scrive in un circostanziato articolo Barbara Roden su “The Ashcroft-Cache Creek Journal” – aveva sopportato il peso dei bombardamenti alleati nella zona nel settembre 1943, e la città, che prima della guerra aveva una popolazione di 20.000 abitanti, era stata ridotta all’ombra di se stessa. Mentre vagava per la città il giorno della vigilia di Natale, Jimmy scoprì che le strade e le case erano deserte; Si vedeva solo un vecchio cane, in cerca di qualcosa da mangiare.

Grandi crateri di bombe segnavano le strade, che erano bloccate da cumuli di detriti. Molti edifici erano stati distrutti dai proiettili e danneggiati in misura diversa, mentre altri erano stati completamente rasi al suolo. Le case e i negozi rimasero aperti alle intemperie, le porte saltarono via e Jimmy si avventurò in una delle case. Le pentole sopra il camino contenevano il cibo e la tavola era apparecchiata per un pasto; Ma gli abitanti erano chiaramente partiti in fretta quando iniziarono i bombardamenti, per rifugiarsi con altri cittadini sulle colline vicine, e non erano più tornati. Jimmy stimò che la popolazione di Avellino oggi, escludendo i soldati, era meno di una dozzina di persone.

Mentre guardava in fondo a una delle strade laterali, Jimmy vide due di quegli abitanti e si diresse verso di loro. Quando si avvicinò, vide che erano un ragazzo e una ragazza, con le facce pizzicate e sporche e i vestiti logori e strappati. La ragazza era leggermente più grande del ragazzo e gli teneva la mano in modo protettivo, più come una madre che come la sorella maggiore che era chiaramente. Quando Jimmy augurò alla coppia un allegro “Buon Natale!”, il ragazzo seppellì il viso nel vestito della sorella. La ragazza fissò Jimmy per un momento, poi disse in buon inglese: «Hai della cioccolata per mio fratello?»

Beh, un ragazzo non andava in giro con le tasche piene di cioccolata, e Jimmy si sentiva male perché non ne aveva. Tuttavia, aveva pronta quella che pensava fosse una buona risposta.

“Babbo Natale ti porterà un sacco alla vigilia di Natale”, ha promesso. La ragazza rispose tirando più vicino il fratello e scosse la testa.

«Noi in Italia non abbiamo un Babbo Natale come quello che hai tu in Canada e in America» rispose lei, con sorpresa di Jimmy. Aveva sempre pensato che il vecchio Babbo Natale fosse conosciuto in tutto il mondo.

Era ancora più sorpreso dall’inglese della ragazza, e lei le spiegò che suo padre le aveva insegnato. «Lui e mia madre sono stati uccisi da una delle vostre bombe», aggiunse in tono pratico, indicando il punto in cui una porta conduceva a un seminterrato. Un odore di morte aleggiava ancora sulla zona e, anche se Jimmy non era stato responsabile dell’attentato, si sentiva male.

“Vuoi dire che i bambini qui fuori non hanno Babbo Natale o alberi di Natale nel periodo natalizio?” chiese, pensando che fosse ora che qualcuno facesse qualcosa al riguardo.

“Abbiamo la Befana“, rispose la ragazza. Quando Jimmy sembrò perplesso, spiegò: «La Befana è una fata buona che il giorno dell’Epifania, il 6 gennaio, riempie di cose buone le calze dei bambini e delle bambine».

“Cosa ti metterà la Befana nella calza?” Chiese Jimmy, poi si chiese se i bambini avessero le calze. Il ragazzino scosse la testa.

“No”, ha detto, poi ha aggiunto: “Befana Fascista morto“. (“I fascisti hanno ucciso la Befana”).

Jimmy cercò di rallegrare i bambini. “Befana no morto.” (“Babbo Natale non era morto.”)

«Sì, sì», disse tristemente il ragazzo. “Befana morto, boom, boom!”

Jimmy era dispiaciuto per i bambini; Ma sembrava che non ci fosse molto che potesse fare per loro. Si stava facendo buio e aveva bisogno di tornare all’edificio in cui era stato alloggiato. Le granate che esplodevano nella vicina Cassino gli diedero abbastanza luce da permettergli di farsi strada tra le macerie, e quando tornò scoprì che la celebrazione della vigilia di Natale era ben avviata10.

Cimitero per le vittime militari alleate ad Avellino

La popolazione, infatti, sin dal primo giorno delle incursioni aeree, aveva trovato rifugio nelle campagne circostanti, dalle quali fece ritorno soltanto allo scoccar delle campane della cattedrale, che annunciavano lo scampato pericolo, la liberazione dall’oppressione nazi-fascista e il sopraggiungere delle truppe alleate. L’Amministrazione Militare Alleata, al comando del maggiore Charles P. Sisson – che si firmava Major A. C., SCAO, Province of Avellino (Maggiore dell’Ufficio degli Affari Civili per la Provincia di Avellino) –, appena s’insediò ad Avellino, subito si adoperò per tentare di risolvere i problemi più urgenti. Il maggiore Sisson, tuttavia, ricoprì questo incarico soltanto per un breve periodo. Difatti, il 28 dicembre, si era verificato il cambio della guardia al vertice del comando alleato: al maggiore Sisson era subentrato l’ufficiale anglosassone maggiore Ball, che resterà in carica fino al 1° marzo del 1944 allorché fu sostituito dal tenente colonnello inglese Alexander H. White che subito si distinse per aver ordinato la rimozione della bandiera italiana che sventolava sul balcone della prefettura tra quella inglesa e quella statunitense. Anch’egli, tuttavia, restò in carica solo per una cinquantina di giorni tant’é che alla fine di aprile di quello stesso anno fu sostituito dal suo connazionale il tenente colonnello A.D. Bonhan Carter il quale esercitò il suo incarico soltanto per , dopodiché fu trasferito. L’ultimo governatore militare alleato della provincia irpina fu l’americano W.R. Irish che, a meta agosto del 1944, lasciò definitivamente la città di Avellino considerato che anche la provincia irpina era tornata alle dirette dipendenze del governo italiano.

Approfittando del cambio della guardia al vertice del comando alleato, Guido Dorso, non si lasciò sfuggire l’occasione per tracciare, dalle colonne di Irpinia Libera, un bilancio decisamente fallimentare del primo governatore militare di Avellino, sferrando il suo j’accuse nei confronti di quella che il C.L.N.  apostrofava come l’amministrazione Sisson–Rubilli.

Restringiamo il nostro panorama ai confini dell’Irpinia (…) ed occupiamoci di strade, ferrovie, poste, telegrafi ed alimentazione (…). Indubbiamente il quadro non è allegro, e quantunque il facile ottimismo, di cui il fascismo aveva imbevuto l’anima popolare, sta cedendo il posto ad un ragionevole pessimismo, siamo costretti a constatare che questo pessimismo non è mai soverchio dinanzi alla cruda realtà. Per formarsene una sufficiente idea the man in the street (…) non ha da fare altro che affacciarsi nel salone dei passi perduti della R. Prefettura, ove si accede gratuitamente, per assistere allo spettacolo della folla dei postulanti che vi staziona durante le ore del giorno. Io ho dovuto passarci due o tre volte per imprescindibili necessità e sempre ne ho riportato la più viva impressione di nausea. Fascisti, filofascisti, fifofascisti, trasformisti, aspiranti podestà, affaristi e consiglieri italiani si accalcano in fluida confusione in mezzo ad una nuvola di fumo e ad un bisbiglio continuo. La prima impressione è quella di una bolgia dantesca, e sul volto di ogni dannato vi sembra di scorgere l’ombra di un peccato. poi lentamente tra la folla in movimento riuscite ad identificare due o tre punti di nucleazione, corrispondenti ai due o tre politici della ricostruzione, che, con le tasche piene di biglietti di raccomandazione, e con l’ostentazione del potere, si aggirano nella folla dei dannati, riveriti e coccolati, come se veramente avessero il potere di soddisfare le insaziabili brame che devastano quelle anime in pena. Infine, quando avete riguadagnata la strada e respirato l’aria pura, il quadro sarà completo, e voi rivedrete le strade rotte e senza ponti, il palazzo delle poste immobile sotto il cielo, diruto quasi come il primo giorno, l’ufficio del telegrafo trasformato in un buco enorme, e la stazione ferroviaria silenziosa con le carcasse dei vagoni immobili lungo le rotaie. E quando sarete a casa maledirete Volta e tutti gli elettrotecnici del mondo, e le vostre donne vi copriranno di lamentele per l’acqua potabile che non arriva, o arriva solo di notte fonda, nel vostro palazzo. E tutto vi apparirà naturale, invincibile, fatale, poichè vi sembrerà in perfetta armonia con l’edificante spettacolo cui avete assistito nel Salone dei passi perduti. Il problema della ricostruzione è una cosa troppo seria e perciò non può essere inteso da chi si è precipitato nel Salone dei passi perduti come esponente di camarille, d’inconfessabili interessi, e con il pensiero di assolvere tutte le colpe ed escludere tutti i rimedi. Occorreva, all’indomani dell’entrata delle truppe alleate, una energia feroce, che avesse rinsaldato la legalità inesistente, ricondotta la morale esiliata e cercato quei rimedi di ordine materiale ancora possibili nello stato di desolazione in cui Marte ci aveva lasciato. Occorreva il coraggio disinteressato e non l’interessato calcolo, l’intelligenza altruista e non la meschina malizia, l’animo del soldato di una milizia ideale e non l’animo oscuro del piccolo politicante, senza linea e senza idee, in cerca di quella che è stata definita l’estate di S. Martino del potere. E per aver deluso la necessità dell’ora, per aver offeso lo spirito ed esaltata la materia, per aver ritenuto di poter istituire un carnevale, assai più sconcio di quello che era cessato; mentre, invece, s’iniziava la più dura delle quaresime, tutto il popolo ha dovuto soffrire come non mai, ed assistere a refrigeranti spettacoli. Nessun servizio é stato riorganizzato, nemmeno quello della distribuzione interna della corrispondenza, nessuna idea generale è balzata fuori, ma dovunque ha alitato il soffio della sopraffazione e dell’affarismo, e la città si è riempita di voci e di sussurri, che eran troppo numerosi per essere tutti non veri. Finché l’esperimento è terminato, e colui che lo ha consentito, ha dovuto per primo convincersi che la ignoranza della lingua e dei costumi politici del paese, oscure manovre e il difetto d’informazione su gli uomini, lo aveva indotto in errore(…). Ora il terreno è di nuovo sgombro ed il Fronte Nazionale di Liberazione può precisare il suo atteggiamento. Noi ci rendiamo conto di appartenere al retro-fronte e perciò siamo decisi a sopportare tutte le costrizioni che derivano da questo stato di fatto, voluto dagli Dei. Ma non possiamo privarci del diritto di collaborare con i rappresentanti delle Nazioni Unite nell’unico modo che ci è consentito, la critica. Se le quattro libertà atlantiche non sono uno scherzo – e non lo sono – nessuno che sia in buona fede può dolersi se saremo costretti a chiarire le nostre idee sulla ricostruzione dinanzi al pubblico e non nel segreto dei partiti. Ora ci sembra chiaro che la crisi degli uomini deve anche significare la crisi degli indirizzi, e che non è possibile, nemmeno in astratto, pensare che il Maggiore Ball vorrà continuare a percorrere pacificamente la stessa strada che finora aveva percorso il Maggiore Sisson. La mentalità pragmatica degli anglo-sassoni ce ne fa garante. E perciò rinnoviamo la promessa di collaborazione, condizionata però questa volta ai fatti. Esperimenti non possono più essere consentiti, poiché coloro che avevano la potestà di provvedere, li hanno già fatti. Occorre, dunque, bandire la scopa e rovesciarla su molti uomini e su molte cose. Occorrono fatti e fatti concludenti. L’inverno s’è iniziato e tra poco cadranno le prime nevi, troppa gente non ha più tetto, non ha più indumenti, non ha, quello che è peggio, più speranza. Occorre il risanamento materiale e morale del paese e domani sarebbe troppo tardi»11.

Guido Dorso con Ferruccio Parri

Così, si provvide a dare alle fiamme le carcasse delle centinaia di vittime sparse per le vie cittadine, che avevano trovato la morte in seguito alla deflagrazione delle bombe alleate. Si ricorse a questo drastico provvedimento al fine di evitare l’insorgere di eventuali focolai di epidemia. In seguito, furono riattivati l’acquedotto e l’intero sistema fognario; quindi il lavoro proseguì prestando le prime provvisorie riparazioni agli edifici della Prefettura, del carcere e degli uffici finanziari. Successivamente l’Allied Military Government of Occupied Territories (A.M.G.O.T.) affrontò il grave problema della ricostruzione, a proprie spese, delle principali arterie di comunicazione distrutte dalla rappresaglia tedesca. Così fu varato un primo piano d’interventi che riguardò 34 viadotti, per una spesa complessiva di 14.680.000 lire, di cui ben il 92% a carico dell’amministrazione alleata, ed il restante ad opera del ministero dei Lavori Pubblici.

Quindi, l’attenzione si concentrò sulla ricostruzione di altri 15 ponti la cui spesa totale ammontava a 21.431.000 lire, di cui il 78% a carico dell’A.M.G.O.T. Con una certa rapidità fu poi riassestata anche la rete ferroviaria Avellino-Napoli, in quanto rivestiva un interesse strategico per gli alleati. Il 4 ottobre 1943, a pochi giorni dall’ingresso delle truppe alleate, il FLN irpino, costituitosi alla fine di agosto di quell’anno, ad opera del P.C.I., del P.d’A. – che vi esercitava un ruolo egemone grazie alla presenza di un leader dal carisma di Guido Dorso – e all’adesione dei socialisti e della Democrazia Cristiana12, votò un ordine del giorno in cui si dichiarava la propria disponibilità vincolata ad un radicale ricambio politico ai vertici della pubblica amministrazione. La conditio sine qua non che poneva il F.L.N. irpino era la seguente:

– Rifiutare il proprio appoggio a qualsiasi governo provvisorio della provincia che non pon(eva) a base della sua attività la più rigida intransigenza nei confronti degli elementi compromessi da attività di collaborazione con il vergognoso regime di oppressione fascista;

– tenere il pubblico al corrente degli avvenimenti politici e militari finché duri lo stato presente di eccezione, mediante la pubblicazione di un bollettino di notizie, se il comando alleato lo consentirà;

– respingere sdegnosamente la maliziosa insinuazione, di evidenti uomini avidi, abituati alle manovre della disonestà politica prefascista, secondo cui l’antifascismo vorrebbe abbandonarsi ad atti di rappresaglia contro gli elementi fascisti». Inoltre il FLN pretendeva la radiazione «dalle cariche pubbliche (di tutti) i colpevoli di fascismo e collaborazionismo con i tedeschi, dando mano ad un esperimento autonomistico a carattere regionale13.

Il comando alleato decise, quindi, di convocare i rappresentanti del F.L.N. provinciale per analizzare in modo più dettagliato la loro piattaforma programmatica. La concentrazione antifascista accettò l’invito, nominando una commissione composta da Guido DorsoAlfredo Maccanico e Vincenzo Galasso. Nell’incontro col comando dell’A.M.G.O.T., ai delegati del F.L.N. fu richiesta una lista di nomi da designare al governo della Provincia. Il 7 ottobre l’assemblea della concentrazione antifascista approvò, con un solo voto contrario, la proposta della Commissione così articolata: alla guida della Prefettura l’avv. Guido Dorso, coadiuvato dal dott. Alfredo Maccanico e dall’avv. Carlo Amatucci in qualità di Vice–Prefetti; al vertice dell’ente municipale veniva proposto, inopinatamente, l’ex sciarpa littoria e segretario comunale fascista Vincenzo Di Tondo, con funzioni di Commissario Civile insieme all’avv. Umberto Lerro, mentre all’architetto Francesco Fariello e al dott. Michele De Laurentiis venivano affidate, rispettivamente, le cariche di Commissario Tecnico e di Commissario per l’Igiene. A dirigere la Questura, invece, fu designato il dott. Vincenzo Bianchi, mentre il comando dei Carabinieri fu affidato nelle mani esperte del Ten. Col. Celestino Seneca7.

Il primo dato che emerge immediatamente da questi nominativi è la prevalenza della componente azionista, che suscitò una decisa presa di posizione da parte di quegli esponenti del ceto politico prefascista di matrice liberale come Alfonso Rubilli – il cui peso politico, nonostante tutto, era ancora rilevante – e del mondo cattolico, che guardava con sospetto il laicismo propugnato dal Partito d’Azione. Le rimostranze provenienti dall’entourage notabilare e dalla Chiesa, di cui si fecero latori Rubilli ed il vescovo Bentivoglio, contribuì a far naufragare definitivamente il tanto agognato governo provvisorio.

L’avvocato Alfonso Rubilli

Così, l’illusione che il comando alleato accettasse le proposte del F.L.N. svanì sul nascere. Difatti, quando l’8 ottobre la commissione della concentrazione antifascista si incontrò col Comando alleato fu accettato solo il nome di Dorso e di un suo vice. In seguito a ciò si convocò ancora un’altra riunione, nella sede del F.L.N. provinciale, tra il Maggiore Sisson e gli esponenti dei partiti antifascisti, durante la quale il comandante delle forze di occupazione promise l’estromissione degli elementi fascisti dai posti di responsabilità. Alcuni giorni dopo, tuttavia, venne nominato a consigliere dell’A.M.G.O.T. l’avvocato Alfonso Rubilli, che pur essendo stato estraneo al fascismo – amava definirsi, infatti, un afascista – non apparteneva al F.L.N., e venne finanche sancita la permanenza in carica delle preesistenti autorità fascistizzate.

L’avv. Rubilli, incarnava la teoria continuista delle istituzioni, difatti era un liberale legato a filo doppio alla vecchia concezione politica personalistica che riscuoteva molto seguito in provincia, coadiuvato dai funzionari cresciuti e prosperati all’ombra del fascismo, che, certamente, erano più tranquilli e proclivi alle direttive impartite dall’autorità alleata; si attuava, così, una riallocazione del potere nelle mani dei vecchi notabili. In realtà, il confronto del comando alleato con i rappresentanti del F.L.N., tra promesse di collaborazione seguite poco dopo da improvvisi e inspiegabili dinieghi, si concluse – nonostante i buoni propositi iniziali – con l’assunzione al governo provvisorio della città e della provincia di un personale del tutto incompatibile con i genuini fermenti antifascisti e poco incline alle istanze di rinnovamento che in quel momento animavano i partiti riuniti nel Fronte.

Una manovra notturna – definì in quei giorni Antonio Maccanico il dietrofront dell’A.M.G.O.T. dalle colonne di Irpinia Libera – con precipitosa corsa automobilistica, effettuata da vecchi santoni della discreditata politica prefascista paesana, con l’appoggio di un’Alta Autorità spirituale, basata sulla maliziosa insinuazione che l’antifascismo irpino fosse proclive all’esercizio di rappresaglie e violenze in danno dell’elemento fascista, sortì il suo effetto»14.

Successivamente, sempre dalle colonne dell’organo del F.L.N. Irpinia Libera, veniva denunciato che

il maggiore Sisson che aveva aderito all’idea ne fu dissuaso a seguito di una campagna subdola di diffamazioni e calunnie, e la cosa abortì (…). Il prefascismo ricominciò la sua vita abietta in quei giorni15.

Da ciò si evince chiaramente la divergenza degli indirizzi programmatici del F.L.N. rispetto a quella messa in atto dall’A.M.G.O.T. I primi erano fautori di una politica di profondo rinnovamento degli apparati statali, a coronamento di una più accentuata democratizzazione della vita pubblica e di una strenua lotta al trasformismo che mirava a riportare in auge il vecchio ceto politico liberale. Le forze alleate, viceversa, perseguivano una strategia diversa rispetto a quella del F.L.N., cooptando l’élite politica prefascista, in modo da mantenere inalterata la funzionalità dei vecchi apparati burocratico-amministrativi, impedendo, allo stesso tempo, ai partiti antifascisti di organizzarsi. In questi frangenti la politica perseguita dall’A.M.G.O.T. sembrò pervasa dalla sindrome di Tiresia, per cui si procedeva alla ricostituzione dell’apparato politico-amministrativo con la mente rivolta al passato, facendo leva sul vecchio ceto notabilare di matrice liberale; così fu stabilito che le più alte cariche pubbliche restassero al loro posto.

In virtù di questa decisione all’Amministrazione Provinciale Francesco Amatucci sostituì, in qualità di commissario, il Preside Alfredo De Marsico, ministro di Grazia e Giustizia del governo Mussolini e difensore, all’assise di Ferrara, dei fascisti assassini del parroco di Argenta don Minzoni16. Inoltre, bisogna rilevare che proprio in quel periodo la Concentrazione antifascista era egemonizzata dalle forze filo-repubblicane e di sinistra, mentre le forze alleate di occupazione privilegiavano, come è noto, le compagini di ispirazione moderata e monarchica. Anche il questore Vignali ed il comandante dei Carabinieri Martino furono riconfermati nelle loro cariche, mentre l’avv. Rubilli fu nominato addirittura consigliere personale del maggiore Sisson. Finanche l’ineffabile prefetto Giovanni Battista Zanframundo, che nei tragici giorni del bombardamento a tappeto di Avellino, si era defilato abbandonando la città al suo destino cinico e baro, ottenne inopinatamente la riconferma della sua carica. Alcuni anni dopo, per la precisione il 1° marzo del 1946, grazie ai buoni auspici del ministro dell’Interno Romita sarà trasferito a Vicenza dove, tuttavia, ricoprì il suo incarico soltanto per un anno fino al 19 maggio 194717.

L’urgenza di ristabilire un ordine sociale, ormai evanescente, e la precarietà in seno al cattolicesimo di figure di spicco, indussero anche la Chiesa a fare affidamento sul vecchio personale politico liberale, sostenendo gli ex deputati Alfonso Rubilli Francesco Amatucci, al fine di gestire in modo indolore la transizione post-bellica. In questo modo si tentò di arginare le spinte innovatrici provenienti dal fronte antifascista, cercando di ostacolarne al suo interno, l’egemonia dei partiti di massa – in particolare del P.d’A. e del P.C.I., che avevano subordinato la loro partecipazione al governo provvisorio della città e della provincia, all’adozione di drastici provvedimenti epurativi, onde evitare proprio la riemersione di quei notabili di estrazione liberale – ridimensionando i quadri dirigenti «con una politica ostruzionistica e sabotatrice»18, obbligandoli ad una «tacita collaborazione» che ne inficiava la loro immagine pubblica. L’emarginazione del FLN fu la conseguenza dell’opposizione ai criteri di moderazione e gradualismo a cui iniziò ad ispirarsi la politica degli alleati. Difatti, nel breve volgere di un mese, già alla fine di ottobre del ‘43, la linea politica adottata dal P.d’A. e dal P.C.I., veniva considerata addirittura quasi eversiva rispetto al prioritario ristabilimento delle funzioni amministrative e alla pacificazione.

Per queste ragioni la linea politica dei singoli ufficiali che si avvicendarono al governo della provincia, dovette certamente essere quella di evitare mosse azzardate, di non fare concessioni a spinte radicali, e di favorire quanto più possibile soluzioni amministrative di segno moderato. Sul finire del 1943, il maggiore Sisson, capo dell’A.M.G.O.T., diede una chiara dimostrazione della sua linea politica e approfittando delle intimidazioni rivolte a Guido Dorso da una quindicina di soldati monarchici, in seguito ad un suo articolo pubblicato sulle pagine di Irpinia Libera e ritenuto troppo critico nei confronti della Corona, decretò la chiusura del giornale lamentando la penuria della carta.

La crisi del passaggio dal vecchio al nuovo si era risolta, dunque, all’insegna della più assoluta continuità, e questo contribuiva a  scavare un fossato tra il F.L.N. e il Comando Alleato, sulle cui decisioni dovette certamente avere un forte influsso il timore che scelte diverse avrebbero potuto portare al sopravvento di forze ultrademocratiche o di estrema sinistra, in ogni caso ostili al governo Badoglio e alla monarchia, che in quel momento costituivano per il Quartier Generale dell’esercito di occupazione l’unico punto sicuro di riferimento. Ma a spingere in questa direzione dovettero anche giocare, da parte del F.L.N., alcuni errori tattici oltre che di valutazione dello spirito reale che animava l’A.M.G.O.T.

Guido Dorso

Dorso e gli altri membri del Fronte di Liberazione, infatti, credevano che gli alleati fossero animati da un sentimento antifascista analogo al loro, mentre costoro in realtà erano soprattutto preoccupati delle ragioni strategiche della guerra, in cui entravano anche problemi di equilibrio politico, e all’assetto che l’Italia e l’Europa avrebbero dovuto assumere al termine delle ostilità.

A rinfocolare gli animi, già di per sé abbastanza esacerbati, ci pensarono alcuni reparti del 1° Raggruppamento Motorizzato Italiano, costituitosi alla fine di settembre col beneplacito del Comando Alleato, nella zona di S. Pietro Vernotico diretti al fronte di Cassino per la conquista di Montelungo. Tra il 6 e l’8 novembre questo reparto si trasferì nelle zone di Avellino, dove rimase per quindici giorni. In questa circostanza si verificarono dei deprecabili atti intimidatori proprio nei confronti dell’esponente di spicco del Fronte di Liberazione, l’avv. Guido Dorso stigmatizzati con profonda indignazione da gran parte della popolazione avellinese appena vennero a conoscenza delle vessazioni perpetrate da questi soldati ai danni di Dorso e di altri esponenti repubblicani. Il vituperio della popolazione raggiunse, così, proporzioni parossistiche in quanto quelle azioni di tipo squadristico, compiute per giunta da giovani che indossavano la divisa dell’esercito, rappresentava agli occhi della gente un funesto rigurgito della tendenza di matrice fascista e monarchica.

Mi sono stati denunciati da parte di civili – scriveva in quei giorni il magg. Sisson in una lettera riservata a Dorso – degli incidenti, che, se non controllati immediatamente, possono indurre a serie conseguenze man mano che queste truppe avanzano. Durante la sera del 13 novembre (1943) circa 15 soldati entrarono nella casa di un vero antifascista residente nella città di Avellino, un avvocato e lo minacciarono a causa di un articolo che egli aveva pubblicato, non sufficientemente laudatorio del Re, secondo la loro opinione. Poco dopo arrivò un Luogotenente colonnello con alcuni ufficiali e rafforzò le minacce fatte dai soldati e affermò che, se non fosse stata pubblicata entro 48 ore una ritrattazione dell’articolo, gli sarebbe stata inflitta violenza personale. Inoltre – continuava il magg. Sisson – ho alcuni rapporti riguardanti giovani antifascisti molestati nello stesso modo, con l’irruzione in un circolo che essi occupavano, con la distruzione dei mobili, con il sequestro dei libri e con minacce di violenze personali. I soldati hanno anche sequestrato giornali a persone sulle strade pubbliche, effettuato perquisizioni in cerca di giornali, e provocato in altri modi la possibilità di seri disordini. Ho avuto un ampio colloquio con i querelanti e li ho messi in guardia dal fare qualsiasi cosa che possa causare un serio scontro con l’Esercito Italiano. Secondo il mio parere – concludeva il comandante dell’Amministrazione Militare Alleata – nessuna delle attività che essi hanno intrapreso fino ad ora va oltre la sfera delle libertà di espressione, stabilite come una delle garanzie su cui si basa la nostra presenza in Italia19.

Togliatti, a Salerno e gli eventi successivi si incaricarono di dar ragione alla politica della conciliazione – almeno fino al referendum istituzionale – e di guerra ad oltranza contro le truppe naziste.

Il 25 novembre (1943) la stessa tipografia Pergola – scriveva il prof. Cannaviello – pubblic(ò) il primo numero de L’Amico del Popolo, settimanale della democrazia cristiana. Avevano appena questo giornale e l’altro dell’Irpinia Libera, delineato le proprie vedute, cominciato le proprie schermaglie, che ecco – per evitare altri turbamenti della quiete pubblica, altre eccitazioni del popolo già scosso dalle sofferenze –, v(enne) d’ordine superiore sospesa a tempo indeterminato la pubblicazione di entrambi20.

Lo scopo, fin troppo esplicito, perseguito dal comando alleato, era quello di lasciare senza alcuna voce quei partiti contrari al ritorno, nell’agone politico locale, del vecchio ceto politico notabilare di estrazione liberale. In questo modo, come rilevava lucidamente Dorso, «prospettava l’A.M.G. in funzioni di situazioni personali», le quali proprio perché avulse dal tessuto sociale e non soggette al controllo dei partiti, garantivano agli alleati il completo controllo della situazione. Ad ogni modo questa strategia, condotta magistralmente dal comando alleato, costituì il preludio del ritorno in grande stile sulla scena politica di quei personaggi legati a filo doppio all’élite politica liberale prefascista, come Alfonso RubilliFrancesco Amatucci e così via. La campagna propagandistica condotta dai partiti laici e socialisti, di moralizzare la vita pubblica, si rivelò complessivamente un’aspirazione velleitaria, rispetto alla quale le forze moderate, grazie anche all’appoggio degli alleati, ebbero il sopravvento, rendendo evanescenti le invettive lanciate dallo schieramento progressista.

D’altronde le istanze di rinnovamento dell’apparato statale furono vanificate dai procedimenti a dir poco contraddittori con i quali fu avviata la defascistizzazione21, che ebbe il merito di gettare soltanto il fumo negli occhi ai più acerrimi fautori dell’epurazione della pubblica amministrazione.

La continua rievocazione del fascismo – si leggeva dalla colonne del Corriere dell’Irpinia, nel 1945 – non per trarre considerazioni utili al nostro vivere ma per eccitare rancori, per impedire la fusione degli animi fa ormai nausea agli italiani, perché prima di dirci di questo o quel partito non bisogna dimenticare che siamo italiani, innanzitutto italiani22.

In realtà, la politica condotta dal comando alleato, mirava a non scompaginare la struttura amministrativa, insediando ai vertici degli enti locali proprio quel personale politico prefascista che considerato più affidabile nel garantire gli ordini impartiti dall’A.M.G., avrebbe potuto scongiurare, in tal modo, l’avvento al potere del fronte progressista. La compagine dorsiana, invece, puntava il dito sul problema più cogente del rigurgito della classe dirigente prefascista23. In realtà, proprio questa eventualità preconizzata da Dorso, si rivelerà la più pericolosa per le sorti della nascente democrazia. Difatti, un episodio emblematico accaduto nel 1945, testimoniava l’effettiva vitalità della cosiddetta quinta colonna fascista irpina che riuscì ad ordire un piano per trafugare i documenti depositati presso la sezione provinciale di epurazione.

In effetti, finanche i comunisti furono indotti a ridimensionare la propria linea politica, nel momento in cui presero coscienza che:

lo stesso fascistissimo prefetto serv(iva) Rubilli e Amatucci con lo stesso zelo con cui (aveva) servito Mussolini. A questi due piccoli ras della provincia che lo (avevano) garantito e raccomandato, il prefetto non e(ra) in grado di negare nulla e tutta la sua opera, infatti, e(ra) rivolta al consolidamento delle loro posizioni politiche e al rafforzamento delle clientele e delle cricche che fa(cevano) capo ai nuovi padroni24.

Rapidamente, dunque, l’impalcatura del potere locale rispecchiava fedelmente gli indirizzi programmatici e gli equilibri scaturiti dalla politica restauratrice degli alleati. In un batter d’occhio il ceto politico-amministrativo – grazie anche ad un’intransigente presa di posizione massimalista al momento delle trattative da parte del F.L.N. – venne sostituito e riciclato. Tuttavia, proprio la priorità che, sia i comunisti che gli azionisti, attribuivano all’avvicendamento delle massime gerarchie amministrative (Prefetto e Provincia), si rivelò fallimentare, innescando un processo di restaurazione dal basso, che si diramava dalle amministrazioni comunali, al momento non ancora elettive. In questo modo, anziché stilare un efficace programma di rinnovamento degli enti locali, si tendeva ad utilizzare il municipio come merce di scambio, per aspirare a raggiungere il gradino più alto dell’apparato amministrativo.

Il governo alleato adottò, in questa circostanza, la classica strategia del divide et impera, contrapponendo, di volta in volta, i due comitati, in funzione dei propri interessi, in modo da circoscrivere il loro raggio d’azione, già di per sé angusto. A catalizzare il consenso dell’opinione pubblica intorno a questa politica, ci pensò, poco dopo, il commissario provinciale Francesco Amatucci che, nella sua relazione del 1944, pose l’accento sulla sovvenzione straordinaria di un milione concessa dal comando alleato, grazie alla quale fu possibile l’approvazione del bilancio provinciale per l’anno in corso:

La situazione della cassa – dichiarava Amatucci – presentava un deficit di £ 29.959,77, malgrado l’anticipazione fatta dal Ricevitore Prov/le di oltre £ 600.000,00 in conto sovrimposta, successivamente regolarizzata. Furono subito iniziate trattative con l’Ufficio Finanziario del Governo Militare Alleato per una sovvenzione straordinaria di fondi in sostituzione di quelli non pagati dallo Stato (…). Gli Alleati ci vennero incontro con una prima sovvenzione straordinaria di un milione di lire e con l’approvazione di massima data al nostro bilancio 1944 che si chiudeva con uno spareggio di £ 19.707.004,98 per sanare il quale si chiedeva un contributo di pari somma allo Stato25.

A questo punto i partiti del F.L.N., che nel frattempo si erano costituiti come C.L.N., condizionati dalla loro politica velleitaria e massimalista e dal timore di essere ritenuti responsabili della paralisi amministrativa, finirono per non incidere in alcun modo sulla gestione dell’attività politica-amministrativa del capoluogo irpino.

Anche l’incerto e contraddittorio avvio della defascistizzazione della pubblica amministrazione – sostiene Barra – non contribuì certamente a chiarificare la situazione politica, ma avvelenò invece ulteriormente i già tesi rapporti tra i partiti (…). Il prefetto Zanframundo, che non si era davvero distinto né prima né dopo l’8 settembre per doti di altruismo, non fu neppure sfiorato dall’epurazione. Accusato dai partiti del C.L.N., ed in particolare dal P.C.I., di essere passato dal servire il fascismo a servire gli onorevoli Rubilli e Amatucci, di cui era divenuto docile creatura; fu trasferito a Frosinone ai primi di giugno del ‘44 e sostituito dal magistrato a riposo Raffaele Intonti26.

Il nuovo prefetto si insediò l’8 giugno ed il 14 inviò una lettera di saluto alle varie autorità, nella quale affermava di non sottovalutare «le difficoltà, a tutti note, dei momenti che attraversiamo», che si proponeva di superare lavorando

con la lena migliore (…). Abbiamo fatta, purtroppo – proseguiva Intonti – dolorosa esperienza di un ventennio e più di irreparabili e tragici errori, nei quali non dobbiamo ricadere. Quel che abbiamo deprecato e patito potrebbe bastare ad ammonire le generazioni ed insegnar loro la via da percorrere operando in silenzio e con dignità. C’è bisogno, quindi, di non attardarsi a ricostruire in ogni campo ed anche in quello morale in inalterabile unanime concordia di animi e di intenti nel riconquistato ed agognato clima della libertà27.

L’ex magistrato, nel novembre del ‘43, era stato l’artefice della nascita della D.C. ad Ariano Irpino ed in seguito aveva preso parte attivamente al Congresso di Bari nel gennaio dell’anno successivo. Raffaele Intonti si segnalò subito come una persona equilibrata e dotata di una grande dignità, e ciò gli valse il merito di continuare a reggere le sorti della prefettura irpina fino all’ottobre del 1944, nonostante che la provincia fosse ritornata fin dal 20 luglio di quell’anno, sotto la giurisdizione del governo italiano. In seguito al suo posto fu nominato un funzionario di carriera, Roberto Siragusa.

Nel frattempo, la «gestione autocratica e centralistica» del C.L.N. – non supportata da un’adeguata mobilitazione dell’opinione pubblica» e fondata «soltanto sul prestigio e sulle capacità intellettuali di quadri dirigenti privi di un significativo bagaglio di esperienze politiche», finì col rallentare la costruzione di moderne strutture di partito28. I dirigenti del C.L.N. si erano lasciati persuadere dalla convinzione – rivelatasi alquanto velleitaria – di poter interloquire con le autorità su un piano di parità, confidando sul prestigio e le doti morali ed intellettuali dei suoi leaders, che tuttavia, non avevano alle spalle una sufficiente esperienza politica, al punto che finanche un partito dalla vocazione elitaria, come il Partito d’Azione dei vari Dorso e Muscetta, si rese ben presto conto dell’importanza di un apparato stabile ed efficiente in grado di infondere dinamicità e capacità decisionale alle diverse istanze provenienti dal partito, ponendo fine al dirigismo esercitato fino a quel momento dal C.L.N.

Circa l’attività politica – affermava il segretario del P.d’A. di Avellino Enrico Sessa – abbiamo poco da riferire, in quanto i contatti e le azioni svolte in seno al Comitato di Liberazione, con le autorità e gli enti (erano) degnamente tenuti dal comitato provinciale del partito. Il nostro compito (era) quello di risolvere compiti più modesti, rivolti essenzialmente alla costituzione di quello che (doveva) essere un primo nucleo di elementi di sicuro e completo affidamento29.

La fase di transizione dal regime fascista alla democrazia assumeva, dunque, un significato tutto particolare proprio nella terra di Guido Dorso del quale ancor oggi resta inevaso l’interrogativo amletico che l’insigne meridionalista irpino pose nel suo editoriale che scrisse il 13 novembre 1943 nel terzo numero di “Irpinia Libera”: «Esistono cento uomini d’acciaio, col cervello lucido e l’abnegazione indispensabile per lottare per una grande idea?»30.

Note

NARA, MR 203(2) Sec. 20 War Department Operational Summaries – September 1943, NAID: 27578182, Collection FDR-FDRMRP, Map Room Papers (Roosevelt Administration) 1942 – 1945, Series Military Files 1942 – 1945, War Department Operational Summaries – October 1943, War Department, Daily operational summary No. 659, 0700 September 29 to 0700 September 30, 1943. Ivi, MR 203(2) Sec. 21 War Department Operational Summaries – October 1943, NAID: 27578184, Collection FDR-FDRMRP, Map Room Papers (Roosevelt Administration) 1942 – 1945, Series Military Files 1942 – 1945, War Department, Daily operational summary No. 659, 0700 September 29 to 0700 September 30, 1943. V. Cannaviello, Avellino e l’Irpinia nella tragedia del 1943 – 1944, Avellino 1954, p. 44. NARA, MR 203(2) Sec. 21 War Department Operational Summaries – October 1943, NAID: 27578184 Collection FDR-FDRMRP, Map Room Papers (Roosevelt Administration) 1942 – 1945, Series Military Files 1942 – 1945, War Department, Daily operational summary No. 659, 0700 September 29 to 0700 September 30, 1943. I parroci di Avellino per il popolo, in «L’Amico del popolo», 25 novembre 1943. NARA, NAID: 14064, Local ID: 111-ADC-257, Produced: ottobre 1, 1943–settembre 16, 1943–settembre 16, 1943–settembre 17, 1943–ottobre 3, 1943, Record Group 111 Records of the Office of the Chief Signal Officer 1860 – 1985, Series Moving Images Relating to Military Activities 1947 – 1964, Creator Department of Defense. Department of the Army. Office of the Chief Signal Officer. (9/18/1947 – 3/1/1964), American Infantry occupies Avellino, Italy. A.D.M. Archivio Diocesano di Montevergine, Cronache del Monastero, vol. IV (1943-1950), Cronaca del 1° ottobre 1943. Ivi, Cronaca del 10 ottobre 1943. A.D.M. Archivio Diocesano di Montevergine, Cronache del Monastero, vol. IV (1943-1950), Cronaca del 20 novembre 1943. Barbara Roden, Golden Country: An Ashcroft resident brings Christmas cheer to a war-torn Italian town in 1943, in “”The Ashcroft-Cache Creek Journal”, 11 dicembre 2018. G. Dorso, Risanamento, in «Irpinia Libera» del 29 dicembre 1943. I membri del Fronte di Liberazione Nazionale irpino erano: Guido Dorso, Giulio Ruggiero, Alfredo Maccanico, Enrico Sessa, Bruno Giordano, Bartolomeo Giglio, Enrico Tedesco, Ferruccio Amoroso, Vincenzo Galasso, Francesco Fariello e Salvatore Pirone. Irpinia Libera, n. 1, 3 Maggio 1945. Irpinia Libera, 29 Dicembre 1943. Irpinia Libera, 3 Maggio 1945. Cfr. A. Aurigemma, Discorso celebrativo a 15 anni dalla fondazione del partito: i due volti della D.C., in «Cronache Irpine», 19 ottobre 1958. Cfr. F. Agostini, Il governo locale nel Veneto all’indomani della liberazione: strutture, uomini e programmi. Italia: Franco Angeli, 2012, p. 39.  G. Dorso, La politica interna all’A.M.G., in «L’Azione», n. 57, 1945. Archivio del Centro Studi e Ricerche «G. Dorso», Ar. D5.134, Busta 13, Fascicolo 134, Lettera del maggiore Charles P. Sisson a Guido Dorso, 1° agosto 1943. V. Cannaviello, Avellino e l’Irpinia nella tragedia del 1943 – 1944, Avellino 1954, p. 210. Cfr. N. Calice, Partiti e ricostruzione nel Mezzogiorno. La Basilicata nel dopoguerra, Bari 1976, pp. 101 e sgg. F. Fiorizzi, Costruiamo non demoliamo, in «Corriere dell’Irpinia», n. 35, 1945. G. Dorso, Trasformismo fuor dell’uscio, in «L’Azione», 6, 1944; Id., Per il risanamento politico del Mezzogiorno, in «Rinascita», 1, 1944 L’Unità, n. 26, 1944. Archivio del Centro Studi «G. Dorso», Documenti – Relazione del Commissario straordinario Francesco Amatucci, 30.6.’44, 1 – 3. F. Barra, Strutture produttive, classi sociali e lotta politica in Irpinia tra guerra e liberazione (1940 – 1944), in «1944: Salerno capitale», Univ. degli Studi di Salerno, Napoli 1986, pp. 773 – 774. Archivio d Amatucci, 30.6.’44, 1 – 3. Archivio di Deposito della Prefettura di Avellino (A.D.P.A.), fasc. Epurazione. Archivio del Centro Studi «G. Dorso», Verbali della sezione di Avellino del P.d’A. Adunanza del Comitato di sezione e di quello provinciale, 20 luglio 1945, 13 – 9. G. Dorso, Ruit hora, in Irpinia Libera, a. I, n. 3, 13 novembre 1943. Ripubblicato in L’occasione storica, Torino 1949.

© Giovanni Preziosi, 2024

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