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Sulla scia delle centinaia di iniziative previste e poi, purtroppo, annullate dalla ministra della Cultura croata Nina Obuljen Koržinek a causa della pandemia prodotta dal COVID-19, per celebrare “Fiume capitale europea della cultura 2020”, che avrebbe visto l’incantevole città quarnerina per dodici mesi al centro della scena culturale europea, s’inserisce anche la pregevole pubblicazione, fresca di stampa, intitolata “GIOVANNI  PALATUCCI E  IL  SUO  TEMPO”, (pagg. 154 – € 15) sapientemente curata dal presidente del Comitato Giovanni Palatucci di Campagna Michele Aiello e dall’esule fiumano, nonché autorevole esponente del circolo filatelico di Chiavari, Ferruccio Lust che racconta in modo suggestivo e inedito, con l’ausilio della Filatelia-Aerofilia-Interofilia-Erinnofilia ed alcune caratteristiche Cartoline d’epoca, la storia di Giovanni Palatucci e del contesto storico in cui si trovò ad operare, riuscendo a cogliere con sapienza certosina, attraverso l’affascinante linguaggio evocativo delle immagini, luoghi, storie e personaggi di quell’intricato periodo storico che segnò il cosiddetto “secolo breve”.

La copertina del libro.

L’opera, unica nel suo genere adatta per tutte le età, davvero di pregevole fattura, svolta con passione, competenza e pazienza certosina è una vasta collezione tematica che, attraverso francobolli commemorativi, affrancature particolari, sigilli, timbri e date, annulli primo giorno di emissione, fotografie ed illustrazioni, lettere d’archivio, foglietti erinnofili dal titolo “testimoni del nostro tempo” ed una cospicua raccolta di cartoline postali, racconta la storia di Giovanni Palatucci, prendendo in esame alcuni aspetti delle tragiche vicende che contrassegnarono il Secondo conflitto mondiale. Tra i contributi spiccano quelli del Direttore dell’Ufficio Storico della Polizia di Stato Raffaele Camposano e dell’addetto stampa del “Comitato Giovanni Palatucci di Campagna,” Carmine Granito, che offrono di ulteriori spunti di riflessione su questo argomento rendendo ancora più interessante e scorrevole la lettura di questa suggestiva pubblicazione.

Questo catalogo prende l’abbrivio dalla terra d’origine del giovane poliziotto irpino, Montella, dove ancora oggi sorge il complesso conventuale di San Francesco a Folloni affidato ai Frati Minori Conventuali di cui lo zio Giuseppe Maria Palatucci faceva parte prima di diventare vescovo di Campagna, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua infanzia e degli studi. Quindi il libro passa in rassegna le fasi cruciali che segnarono la vita e la carriera del giovane poliziotto irpino: dalla rinuncia alla carriera forense fino all’arruolamento nella Pubblica Sicurezza con il successivo trasferimento, il 15 novembre 1937, presso la Questura di Fiume dove ben presto, suo malgrado, prese coscienza della triste condizione degli ebrei, soprattutto all’indomani dell’emanazione delle leggi razziali ad opera del governo presieduto da Benito Mussolini.

Un paragrafo ad hoc è dedicato all’organizzazione nei campi d’internamento di Campagna ed alla splendida relazione con gli “ospiti” che prese forma all’interno della piccola cittadina campana, facendo registrare episodi di umana solidarietà tra gli internati e la popolazione locale mediante opportuni approfondimenti sulla corrispondenza (verifica e censura) e sulla posta.

Internati ebrei a Campagna

Dall’insieme di tali fonti documentarie, scritte e orali, dirette e indirette, scaturisce l’incessante opera di aiuto e la costante attenzione a costruire reti protettive nei confronti di un considerevole numero di persone, comprese quelle internate a Campagna, fino al punto da riuscire a salvare tutti gli internati nel campo di raccolta, anche con il decisivo contributo della popolazione, la quale collaborò dignitosamente con il Vescovo e con il comandante pro tempore del nucleo di Polizia.

Da una notevole fitta rete informativa si è poi venuti a capo del fatto che, dietro l’intera ispirazione-organizzazione dell’operazione messa in atto nella cittadina campana, vi fosse la mano decisiva di Giovanni Palatucci.

Giovanni Palatucci

È a questo punto che viene illustrata l’attività svolta in quegli anni da vari esponenti della Polizia di Stato a beneficio dei cittadini a cui è collegata l’opera di salvataggio, condotta nel più stretto riserbo, anche da Giovanni Palatucci volta ad aiutare alcune famiglie ebree ferocemente braccate dai nazifascisti, grazie a quella ramificata rete di amicizie e conoscenze di cui si avvaleva come lo zio vescovo di Campagna, alcuni colleghi di provata fedeltà e perfino vari esponenti di spicco della gerarchia ecclesiastica col beneplacito dello stesso Pio XII – che assume particolare rilievo proprio alla luce della recente apertura da parte delle autorità vaticane degli archivi del suo pontificato – il quale, in più di un’occasione,  non rimase indifferente alle pressanti richieste di mons. Palatucci, impartendo precise disposizioni al proprio Sostituto presso la Segreteria di Stato, mons. Montini, di elargire ripetute sovvenzioni rispettivamente nell’ordine di 3.000, 10.000, 5.000 e di nuovo 3.000 lire[1].

                                                Giovanni Palatucci con lo zio mons. Giuseppe Maria Palatucci

Proprio per il ruolo svolto in quegli anni di concerto con il nipote, non poteva di certo passare inosservata la sua prolifica attività a beneficio degli ebrei internati nella sua diocesi di Campagna all’interno dell’ex convento domenicano di San Bartolomeo e quello francescano della Concezione – dei quali proprio il 16 giugno di quest’anno si celebra l’80° anniversario della loro istituzione –, abilmente documentata in questo volume attraverso i fogli dedicati a Mons. Giuseppe Maria Palatucci ed alla solidarietà mostrata verso i tanti internati, deportati, profughi e rifugiati ingiustamente perseguitati in seguito all’introduzione delle tanto vituperate leggi razziali.

Quest’opera, pensata sottoforma di libro-catalogo, in realtà nasce con l’intento di commemorare anche il ventesimo anniversario della costituzione del Comitato Palatucci di Campagna nonché i 75 anni della morte dell’indimenticabile poliziotto di origini irpine deceduto, com’è noto, il 10 febbraio del 1945 nel campo di concentramento di Dachau in seguito ad un’epidemia di tifo petecchiale dopo aver ricoperto, tra il 1937 ed il 1944, dapprima le funzioni di responsabile dell’Ufficio Stranieri della Questura di Fiume e poi, dal il 5 aprile 1944, finanche la carica di questore reggente per ricostituire la Questura sciolta dai tedeschi all’indomani della firma dell’armistizio.

Svolgendo queste funzioni, appena fu introdotta la legislazione razziale ad opera del governo fascista italiano nel 1938, ebbe l’opportunità di verificare più da vicino le atroci sofferenze che arrecò a tanta povera gente. Per questo motivo non riuscì a restare indifferente dinanzi allo scempio che i nazisti e i loro sodali in camicia nera perpetravano ormai quasi quotidianamente sotto i suoi occhi. Così, da quel momento in poi cercò in ogni modo di aiutare chi era in difficoltà ricorrendo ad efficaci espedienti come, del resto, accennava egli stesso nella lettera inviata ai genitori l’8 dicembre 1941:

ho la possibilità di fare un po’ di bene, e i miei beneficiati me ne sono assai riconoscenti. Nel complesso incontro molte simpatie. […] purtroppo ho sospesi i contatti epistolari con quasi tutti, parenti e amici, in assoluta mancanza di tempo. […] È molto difficile […] per voi rendervi conto di quanto sia occupato. Ora, per esempio, è già passata la mezzanotte e io ho appena smesso di lavorare. Sono ancora in ufficio naturalmente[2].

Nel 1990 fu proclamato Giusto tra le Nazioni da Yad Vashem proprio per essersi prodigato, in sordina, nel salvataggio di intere famiglie ebraiche aiutandole a sfuggire ai propri aguzzini.

Tuttavia, per una strana coincidenza, come si ricorderà, proprio il 23 maggio di sette anni or sono, con un articolo, tutt’altro che lusinghiero, apparso nell’edizione on-line del Corriere della Sera a firma di Alessandra Farkas, intitolatoPalatucci, tutte le ombre sulla vita dello «Schindler italiano»[3], scattò in grande stile la macchina del fango, finendo per rivelarsi la sentina di tutte le critiche nei confronti di Giovanni Palatucci[4] che, all’improvviso, suo malgrado, si ritrovò sotto i riflettori dei maggiori mass media di tutto il mondo, che non esitarono a sferrare un duro attacco nei suoi confronti.

Fu l’inizio di un acceso dibattito che si scatenò sui principali giornali nazionali ed internazionali e perfino all’interno della stessa comunità scientifica, in quanto venivano sollevati forti dubbi sull’operato di Palatucci nel salvataggio degli ebrei. Il dibattito suscitato da questo articolo, come si ricorderà, in realtà, riprendeva una ricerca promossa dal Primo Levi Center di New York – un’istituzione che si occupa di diffondere la conoscenza della cultura ebraica italiana negli Stati Uniti – che sosteneva di aver sollevato nuovi interrogativi sulla vicenda del giovane responsabile dell’Ufficio Stranieri della Questura fiumana. “Si dice abbia salvato oltre 5.000 ebrei in una regione dove non ve n’erano neanche la metà. Mito o truffa clamorosa?”, si insinuava surrettiziamente nel sottotitolo. Ad ogni modo, fu da quel momento in poi che incominciarono a scaturire, una dopo l’altra, una serie di polemiche astiose e, per certi versi, decisamente di cattivo gusto. In altri termini, stando a quanto asseriva la corrispondente del quotidiano di via Solferino, riprendendo una teoria formulata dallo storico veneziano Simon Levis Sullam, Palatucci non sarebbe stato altro che l’archetipo del «bravo italiano», adoperato all’indomani della Seconda guerra mondiale, come figura mitologica per celebrare una sorta di «auto-assoluzione collettiva rispetto al sostegno offerto a politiche antisemite e razziste nel periodo 1937-1945, cui migliaia di italiani parteciparono direttamente»[5].

Perfino l’Anti-Defamation League, la principale organizzazione mondiale ebraica di lotta all’antisemitismo che il 18 maggio 2005 aveva attribuito a Palatucci il suo Courage to Care Award, di fronte a queste illazioni, il 20 giugno 2013, diffuse un comunicato ufficiale nel quale il direttore Abraham H. Foxman, un sopravvissuto all’Olocausto, non esitò a dichiarare che:

Sappiamo adesso quel che non sapevamo allora, che cioè Palatucci non fu il salvatore in cui è stato trasformato dopo la guerra. Ringraziamo gli storici per i loro sforzi per portare alla luce la verità, e come risultato della loro ricerca, abbiamo deciso di dissociare il nostro premio alle forze dell’ordine dal suo nome. (…) Palatucci è stato riconosciuto con il Courage to Care Award nel 2005 e, dal 2007, la Lega ha concesso l’ADL Giovanni Palatucci Courageous Leadership Award in onore delle forze dell’ordine italiane e americane che (si sono distinte) nella lotta contro l’estremismo, il fanatismo e il terrorismo. Il nome di Palatucci verrà rimosso da entrambi i premi, ma il riconoscimento delle forze dell’ordine (…) esemplare continuerà. Il premio sarà designato con un altro nome[6].

Sembrerà paradossale ma, da quel momento in poi, proprio grazie a queste polemiche, per una strana eterogenesi dei fini di vichiana memoria, più o meno inconsapevolmente, si sono aperte nuove piste di ricerca – seguite con particolare attenzione anche da chi scrive – che hanno contribuito a far emergere nuovi documenti e testimonianze inedite che, com’era prevedibile, hanno finito per confermare quanto fin qui si era sempre saputo, e cioè che l’ex questore reggente di Fiume è stato un uomo “Giusto” e, pertanto, ha meritato l’alta onorificenza che gli è stata conferita da Yad Vashem nel 1990.

Ma procediamo con ordine e cerchiamo di fornire qualche ulteriore chiave di lettura su questa vexata quaestio, cercando di sgombrare il campo da ogni sospetto, focalizzando l’attenzione su alcune vicende, meticolosamente compulsate da chi scrive, con dovizia di particolari, nella seconda edizione di imminente pubblicazione del volume “La rete segreta di Palatucci. Fatti, retroscena, testimonianze e documenti inediti che smentiscono l’accusa di collaborazionismo con i nazisti”.

In quel periodo, infatti, anche Palatucci, proprio in virtù di questa sua attività a beneficio dei perseguitati, era guardato con sospetto dai suoi superiori e il suo modus operandi osservato con crescente disappunto, anche perché era sempre disponibile con tutti coloro che si rivolgevano a lui per risolvere qualche problema, al punto che da alcune autorità fasciste era considerato un «probabile confidente degli ebrei»[7].

Col precipitare degli eventi, all’indomani dell’occupazione nazista del Carnaro, improvvisamente, la situazione incominciò a farsi critica, soprattutto per gli ebrei che furono sottoposti ad un indiscriminato rastrellamento. Ma, per fortuna, come rileva con un certo disappunto il capo della Gestapo Müller, alla fine il bottino si rivelerà abbastanza esiguo considerato che riuscirà a catturarne più di duecento nel campo di Arbe perché tutti gli altri si erano rapidamente nascosti altrove. Perfino il Dipartimento per la Sicurezza del Popolo (l’Odjeljenje za zaštitu naroda), la famigerata macchina del terrore titina, che all’epoca operava nella zona di Fiume con il compito di schedare i presunti “nemici del popolo”, tra cui civili e funzionari dello stato italiano, in un nel Rapporto bisettimanale del Dipartimento della Difesa Popolare (OZNA) rapporto del 25 dicembre 1944, stilato da un agente operante nell’Istria, insieme ad altri particolari relativi agli ustaša, ai cetnici ed agli autonomisti considerati come se fossero il più grande pericolo per i partigiani, accenna anche a Palatucci in questi termini:

L’ex reggente della polizia di Fiume Palatucci che è stato arrestato dai tedeschi si trova internato in Germania in un campo di concentramento. Secondo alcune informazioni egli è stato arrestato perché voleva salvare un gruppo di ebrei, per i quali egli coltivava speciali simpatie. –  Palatucci ha il diploma di dottore in economia politica e nell’ultimo periodo era un marcato anglofilo e simpatizzante degli ebrei. – Era amico e collaboratore dell’ex capo dell’OVRA De Micheli che si trova a Venezia dove è stato visto. Egli è un tipo di uomo che ama il lusso e dispendioso[8].

In un altro documento, invece, ritrovato nell’Archivio di Stato di Fiume, tra un Elenco dei Dirigenti la Questura di Fiume, compare in capo alla pagina due il nominativo di “Palatucci Giovanni”. Accanto al nome figura la seguente annotazione:

Aiuto commissario in servizio dal 1930 (rectius 1936) alla primavera del 1944. Funzionario di grandi capacità e benefattore. La polizia tedesca lo internò a Dachau[9].

                                                                        Il lager di Dachau

Del resto perfino lo zio, mons. Giuseppe Maria Palatucci, si era convinto che il nipote era stato “tradito” da qualcuno di sua conoscenza, come si evince da una lettera inviata il 18 maggio 1953 all’avvocato Ernesto Franchi – in cui paventava una collaborazione “esterna” del giovane questore reggente di Fiume con gruppi di resistenza antifascisti locali[10] – laddove scrive:

So bene che mio nipote lavorava per mettersi in relazione con gli Alleati contro i Nazifascisti, e fu tradito da un suo dipendente che ne avvisò quei signori, ed egli fu preso e prima condannato a morte, fu poi graziato con la commutazione della pena in deportazione al campo di Dachau, ove finì, il 10 febbraio 1945.

Ma so pure che il fatto di aver salvato gli Ebrei era già mal visto da un pezzo, sì che egli era tenuto d’occhio, e fu presa ben volentieri l’occasione di quella denunzia per ragioni politiche per colpirlo anche per l’aiuto dato agli Ebrei. E questi lo sanno molto bene, come ebbi a sapere poco dopo la morte di lui, nel 1945 stesso. […]
In quanto poi al delatore di mio nipote – e me ne fu detto il nome – gli ho perdonato da tempo, da quando mi dissero la cosa e il nome[11].

La versione fornita dall’avvocato Franchi è confermata anche dall’allora rappresentante della Democrazia Cristiana nel comitato antifascista fiumano Antonio Luksich Jamini il quale, in un suo libro, dichiara addirittura che, nell’intento di continuare la sua attività clandestina di salvataggio dei perseguitati, Palatucci restò al suo posto assumendo il nome in codice di «dottor Danieli», collaborando con gruppi della Resistenza fiumana.

Un immediato, spontaneo e quanto mai prezioso aiuto – scrive Luksich Jamini – essi lo ebbero da un funzionario della regia questura. Costui era il dott. Giovanni Palatucci, capo dell’ufficio stranieri. A chi pensa a ciò che era per il fascismo l’istituto di polizia, specialmente nella lotta contro l’antifascismo, sembrerà eccezionale questo episodio; ma, anche nel seno della polizia, non pochi erano gli elementi che avevano coscienza italiana e collaboravano, nel limite del possibile, coi patrioti. […]

Quando egli ebbe coscienza che nelle sue mani di funzionario addetto al controllo e alla vigilanza degli stranieri, stavano in gran parte le sorti degli ebrei di Fiume, non esitò un istante a prendere posizione conforme alla sua coscienza di cristiano e di italiano. Senza la sua adesione, assai difficile sarebbe stata l’azione dei patrioti fiumani. […]

Il Testa, che aveva pieni poteri per la Provincia di Fiume, aveva dato categoriche disposizioni alla questura per la persecuzione degli ebrei. Il dott. Palatucci si assunse la responsabilità di rendere inoperanti gli ordini: provvide, cioè, ad allontanare da Fiume alla chetichella gli ebrei stranieri che avrebbero dovuto essere arrestati e deportati. Ufficialmente egli li faceva apparire irreperibili, mentre poi, munitili di documenti alterati, che li facevano apparire ariani, li avviava dapprima ad un suo zio, vescovo d’una diocesi del Sud, il quale provvedeva a sistemarli un po’ da per tutto; poi ai centri che nel frattempo si formavano nell’Abruzzo, nel Molise, ecc. per l’ospitalità ai cosiddetti sfollati di guerra, sotto il cui nome potevano facilmente passare i perseguitati razziali. Il Palatucci nel suo ufficio doveva badare anche alle mosse degli organi speciali della polizia politica, l’OVRA e l’ufficio politico. Le insidie di codesti organi contro gli ebrei erano grandi, perché erano alimentate dalle confidenze e dalle delazioni, che ricevevano sia attraverso i propri canali, sia attraverso lo speciale ufficio informazioni della federazione locale del partito fascista.

Tuttavia il Palatucci riusciva sempre a sventarle, aiutato in questo da amici funzionari della questura, che la pensavano come lui, e dai patrioti fiumani, coi quali agiva in stretto contatto. […]

Secondo le disposizioni del prefetto Testa, che fungeva pure da Commissario di Stato per i territori jugoslavi aggregati alla provincia di Fiume, gli ebrei, fuggenti dalla Croazia nel territorio italiano, dovevano essere colti come in trappola. Grazie, invece, alla collaborazione dei soldati e degli ufficiali della seconda armata la trappola non funzionò; ma agì, invece, il «canale» di Fiume, noto segretamente negli ambienti della seconda armata. […]

La situazione che si determinò l’8 settembre 1943 – continua Luksich Jamini – mutò alla base le condizioni di Fiume. I tedeschi, occupata la Venezia Giulia, costituirono con questo territorio il «Litorale adriatico», del tutto staccato dall’Italia e «de facto» annesso al Reich. Col regime tedesco a Fiume si profilò più grave che mai il pericolo per tutti gli ebrei – italiani e stranieri – ancora presenti in città; tanto più in quanto, avendo cessato di funzionare la regia questura per il rifiuto di funzionari dirigenti di obbedire al nuovo regime, la polizia era riorganizzata dai fascisti al servizio dell’occupatore nemico. Il C.L.N. fiumano esortò il dott. Palatucci a restare al suo posto, onde il «canale» continuasse a funzionare per gli ebrei e per tutti gli altri bisogni della Resistenza, che iniziava la lotta aperta contro il nazifascismo. Così il dott. Palatucci divenne il «dott. Danieli» del movimento di liberazione nazionale[12].

Mario Battilomo

Difatti, sul suo arresto ad opera dei gendarmi nazisti avvenuto nella sua abitazione in via Pomerio nella notte tra il 12 ed il 13 settembre 1944, negli anni successivi si è addensato più volte il sospetto della delazione, come del resto viene confermato anche dall’allora commissario aggiunto della Questura di Fiume Mario Battilomo[14] che, due giorni dopo l’arresto di Palatucci, per la precisione il 15 settembre 1944 alle 20,30, così annotava nel suo diario:

Ero nei pressi della biblioteca quando ho incontrato il col. Capaldi che mi ha chiesto notizie di Palatucci. Mentre mi recavo in questura il brig. Maione mi ha parlato di una bomba posta alla ex-casa del fascio, ora sede del comando germanico.

[…] Siamo poi scesi per il pranzo dalla Questura tutti insieme ed a mensa abbiamo parlato di Palatucci. Tonino [Sciaraffia?], che deve sapere molto più di quello che ha detto, ha parlato che per Palatucci si tratta di qualcosa di molto grave e che in un primo momento ha negato ma poi ha dovuto confessare.

È stato, come dice Tonino, tradito da qualcuno del quale egli si fidava molto, ma si tratta di persona estranea alla Questura[15]

Difatti, il giorno dopo, alle ore 22 in punto, aggiunge:

A cena, Messina che sapeva di Palatucci, mi ha dichiarato di non volersi sbottonare. Va bene che è riservato per natura, ma il fatto mi ha un po’ seccato.

Questa tesi sembra, poi, suffragata, il 9 novembre successivo, anche da un colloquio che Battilomo ebbe, casualmente, nel rifugio con tal don Nicola Pennetta

che, fra altri discorsi sulla guerra e sulle incursioni, ha parlato anche di Palatucci e della sua ambizione a diventare governatore di Fiume, il che lo aveva fottuto facendogli perdere la prudenza[16].

Qualcosa, tuttavia, non tornava neanche a Battilomo, che non riusciva a spiegarsi il motivo dell’improvviso arresto del reggente la Questura fiumana, tant’é che cercò di raccogliere qualche informazione da coloro che potevano essere al corrente di come erano andati realmente i fatti e, il 20 settembre, scrive nel suo diario:

A mezzogiorno ero a pranzo e mentre io e Messina andavamo via, abbiamo incontrato Marco e Tonino con Hamer che poi si è avviato con noi. Gli ho parlato del mio sussidio ed è d’accordo. Solo bisogna aprire prima i cassetti di Palatucci. Speriamo che non si sia portato dietro tutto.

[…] ho incontrato Filippi che portava a spasso il cane. Mi ha accompagnato a mensa e nel percorso mi ha parlato di molte cose riguardanti Palatucci. È un uomo che sa molto e devo farlo cantare perché quello che a lui non serve a me può essere utile[17].

Così, la domenica del 24 settembre successivo, verso le 11 di mattina, annota ancora un particolare interessante:

Ieri mattina sono stato un poco in Questura e verso le 11, quando è suonato l’allarme, ero nell’ufficio di Filippi. L’ho accompagnato al ricovero perché pensavo che l’allarme avrebbe avuto la modesta durata delle altre volte, ma invece è durato la bellezza di cinque ore. Ho appreso da Filippi parecchie cose interessanti e l’ho convinto a darmi copia del suo memoriale[18].

Il conte Marcel Frossard de Saugy

In effetti Battilomo, probabilmente, aveva colto nel segno, considerato che, proprio il vicecommissario Filippi, giusto una settimana dopo l’arresto di Palatucci, per la precisione alle ore 16,30 del 23 settembre, su ordine di tal tenente Ufkun[19] del Comando di Polizia germanica, incaricò il maresciallo Bruno Zanini ed il vicebrigadiere Vincenzo Gigante[20] della Polizia Politica della Questura di Fiume, di procedere al fermo del conte Marcel Frossard de Saugy – com’è noto fraterno amico di Palatucci e uno dei suoi più stretti collaboratori nel salvataggio degli ebrei – che avvenne, neanche a farlo apposta, proprio nei pressi dell’abitazione del giovane poliziotto irpino, in via Pomerio. Ma ecco cosa scriveva il vicecommissario Emilio Filippi nel verbale dell’interrogatorio che si svolse poco dopo nell’Ufficio del Capo di Gabinetto della Questura di Fiume:

addì 23 del mese di Settembre in Via Pomerio alle ore 16,30 (…) abbiamo proceduto al fermo per ordine superiore del nominato Marcello Frossard de Saugy (…) cittadino svizzero, amministratore Società Anonime, residente a Laurana 203, il quale viene perquisito sulla persona e trovato in possesso di quanto segue: numero 1 passaporto n. 182884 rilasciato dalla Legazione Svizzera di Budapest in data 20 giugno 1940 e valido a tutto il 20 Giugno 1946; un libretto note contenente appunti e nomenclatura di vocaboli della lingua croata; un libretto contenente appunti di scherma; numero 3 chiavi della sua abitazione in Laurana; un astuccio contenente un bocchino per sigarette; un orologio di metallo marca Duluz con cinghietta; un pettine tascabile; un netta unghie; un portasigarette di metallo; una penna stilografica marca Tintenkuli; due bottigliette contenenti ricostituenti “Pancrinol”; diciassette biglietti da lire mille ciascuno; un assegno circolare di lire 10.000 della Banca Nazionale del Lavoro nr. 3.205.341; due biglietti da lire cinquecento cadauno; sei biglietti da lire 100 cadauno; lire 116 in biglietti di piccolo taglio. Il tutto complessivamente ammonta alla somma di lire 28.716 (Ventottomilasettecentosedici)[21].

Questa efficace ed originale narrazione della vita e del tempo in cui operò Giovanni Palatucci, si conclude con l’approssimarsi dell’Armistizio allorché, l’8 settembre 1943, la situazione incominciò a precipitare a tal punto che i sospetti ed i veleni che incominciarono ad addensarsi sullo stesso giovane reggente della Questura fiumana sfociarono nel suo arresto ad opera della Gestapo nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1944, a cui fa da pendant la triste vicende del rastrellamento degli ebrei romani decretata dallo stesso Kappler il 16 ottobre dell’anno precedente con il successivo orrendo eccidio delle Fosse Ardeatine ai danni di 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti trucidati il 24 marzo 1944.

Appena giunse a Dachau, come ci è stato rivelato recentemente da un’altra un’interessante testimonianza fornita a chi scrive da Tatjana Malec, Palatucci conobbe il padre Giovanni Gasperini (alias Ivan Gašperčič), il quale all’epoca condivise con il giovane poliziotto irpino la triste esperienza di quell’orrendo lager, dove era stato deportato il 22 settembre 1943, insieme ad altri 1.790 internati italiani, in virtù dei suoi trascorsi tra le fila dei “Fratelli Neri” (Crni Bratje), ritenuti conniventi con l’organizzazione clandestina TIGR che aveva collaborato con i servizi segreti britannici[22]. A Dachau Gasperini fu subito assegnato ai lavori forzati per il Reich, presso il campo satellite di Allach con la qualifica di Arbeitszwang Reich, ovvero “Detenuto antisociale”, contrassegnato col numero di matricola 54.572[23].

Qui Gašperčič conobbe, tra gli altri, anche Giovanni Palatucci e come del resto riferisce la figlia, in più di una circostanza, il padre menzionava il giovane poliziotto irpino tormentato per la sorte dei perseguitati jugoslavi, considerato che ormai non poteva fare più nulla per aiutarli. Il rammarico di non essere riuscito a portare a termine fino in fondo la sua opera a Fiume lo accompagnò finanche nel campo di concentramento di Dachau, come del resto ha confermato anche un altro testimone oculare, il vicentino Gregorio Giuseppe Gregori[24], che condivise la stessa baracca 25 con Palatucci.

Il felice epilogo di questo lungo e articolato percorso filatelico si conclude con il “giusto” riconoscimento a Giovanni Palatucci per il suo sacrificio, che alla fine non si è rivelato vano, da parte del “Tribunale dei Giusti” di Yad Vashem – che, com’è ampiamente noto il 12 settembre 1990 gli tributò l’alta onorificenza di “Giusto tra le nazioni”.

In estrema sintesi un’opera ardimentosa che si candida, dunque, a pieno titolo a divenire una delle pietre miliari di quel variegato mosaico di conoscenze che, passo dopo passo, si va sempre più arricchendo di nuovi ed interessanti particolari che si rivelano senz’altro un eccellente strumento di divulgazione e approfondimento pedagogico soprattutto a beneficio delle nuove generazioni e non solo.

A questo punto, per concludere, alla luce di quanto detto fin qui, preferiamo lasciare al lettore trarre le conclusioni che reputa opportune chiedendosi dunque chi era, in realtà, Giovanni Palatucci? Un eroe, un “Giusto”, un collaboratore dei nazisti, un fedele esecutore degli ordini superiori per attuare la “soluzione finale” ai danni degli ebrei, o forse più semplicemente un uomo – e qui sta la straordinarietà del personaggio – che, constatando la perfidia dei nazifascisti che si consumava quotidianamente sotto i suoi occhi ai danni di tante persone innocenti, le quali avevano la sola “colpa” di appartenere ad una razza diversa, pur nel timore di essere scoperto, non riuscì a restare indifferente e cercò, per quanto gli era possibile, di impedire questo scempio?

Ai posteri, si fa per dire, l’ardua sentenza…


[1] A questo sussidio, il 1° maggio 1941, ne seguì un altro sussidio di 5.ooo lire, che Pio XII provvide a far pervenire tramite il proprio Sostituto presso la Segreteria di Stato, mons. Montini, il quale in questa circostanza così scriveva a mons. Palatucci: «Riscontro la lettera dell’Eccellenza Vostra Rev.ma del 16 Aprile u.s., in cui Ella mi esponeva le pietose condizioni in cui si trovano gli internati civili della Sua Diocesi.

Il Santo Padre, a cui ho esposto la cosa, si è degnato destinare allo scopo da Lei esposto la somma di £ 5.000 e affida alla carità e alla prudenza dell’Eccellenza Vostra la distribuzione di quei soccorsi che, a Suo giudizio, sembrano urgenti». A.P.O.F.M.Conv., Fondo Mons. Giuseppe Maria Palatucci. Lettere degli internati, Internati – Parte XI, 3-1062, Sezione Tredicesima, 1941: maggio-giugno, Scheda n. 1176-476-B, Mons. Giovanni Battista Montini, Sostituto alla Segreteria di Stato di Sua Santità a mons. Giuseppe M. Palatucci, 1° maggio 1941 prot. n. 36270.

[2] F.G.P.M., cit., Lettera di Giovanni Palatucci ai genitori, Fiume, 8 dicembre 1941.

[3] A. Farkas, Palatucci, tutte le ombre sulla vita dello «Schindler italiano», in Corriere della Sera, 23 maggio 2013.

[4] Dal 28 febbraio 1944 Giovanni Palatucci, dopo il trasferimento di Roberto Tommaselli, era stato nominato reggente della Questura che, pur facendo parte geograficamente della Repubblica Sociale Italiana, era stata incorporata dal Terzo Reich nella zona di operazioni dell’Adriatisches Kustenland.

[5] Cfr. S. Levis Sullam, I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei 1943-1945, Milano, Feltrinelli 2015; cfr. anche S. Levis Sullam, I critici e i nemici dell’emancipazione degli ebrei, in S. Levis Sullam – M. Cattaruzza – M. A. Matard-Bonucci – M. Flores – E. Traverso, Storia della Shoah in Italia. Vicende, memorie, rappresentazioni, vol. I, Utet, Torino 2010, pp. 37-61.

[6] In Light of Historical Evidence, ADL will no longer honor memory of Italian Police Official Palatucci, New York, June 20, 2013 [in rete] http://www.adl.org/press-center/press-releases/holocaust-nazis/in-light-of-historical-evidence-adl-will-no-longer-honor-italian-police-official.html (2 aprile 2019).

[7] F.G.P.M., Lettera dell’avv. Ernesto Franchi (residente a Fiume fino al 1949) indirizzata a mons. Giuseppe Maria Palatucci, 14 maggio 1953.

[8] Cfr. Državni arhiv u Rijeci (di seguito D.A.R.), Fondo K-13, Busta 1, Izvještaj OZNE Istra del 25 dicembre 1944, [in rete] http://croinfo.net/forum/index.php?topic=101.405 (2 aprile 2019).

[9] D.A.R.-106, Gradska komisija za utvrđivanje ratnih zločina okupatora i njihovih pomagača u Rijeci (Commissione cittadina per l’accertamento dei crimi di guerra dell’occupatore e dei suoi collaboratori di Fiume), busta 3, Popis osoba osumnjičenih za ratne zločine i onih koji bi mogli biti osumnjičeni, Elenco dei criminali, Razni popisi osumnjičenih za ratne zločine 1941-1943, Popis vodećih osoba riječkog redarstva (Questura) poslije 1941. str. 11, Elenco dei dirigenti la Questura di Fiume dopo l’anno 1941, Palatucci Giovanni.  Il fondo è composto da 2 libri e da 9 buste. La Commissione cittadina per l’accertamento dei crimini di guerra dell’occupatore e dei suoi collaboratori di Fiume o più sinteticamente Commissione per i crimini di guerra operò ufficialmente dal settembre 1945 – anche se iniziò i lavori già tra fine giugno e inizio luglio – fino al settembre 1947 e smise effettivamente di operare con la fine di quell’anno. A tal proposito, Boris Zakošek in un articolo afferma che Palatucci fu l’unico in quell’elenco a ricevere un giudizio talmente positivo perché i commenti sugli altri funzionari oscillavano tra il neutrale e il molto negativo. Cfr. B. Zakošek, Giovanni Palatucci. Riječki Pravednik među narodima između mita i stvarnosti [Giovanni Palatucci. Il Giusto tra le nazioni fiumano tra il mito e la realtà], in “Sušačka revija”, broj 52, pp. 83-91. Cfr. anche Cfr. I. Rocchi, Giovanni Palatucci il «Giusto» che non dà pace, in “In Più” supplemento de “La Voce del Popolo”, 6 giugno 2015, pag. 8.

[10] Come ha scritto l’ebreo fiumano ed esponente di spicco del movimento partigiano di resistenza Teodoro Morgani: «I tedeschi già sospettavano di lui; le autorità della RSI, sulla base dei rapporti dell’ufficio politico della Questura, lo avevano indicato come un ‘probabile confidente’ degli ebrei» (Cfr. T. Morgani, Ebrei di Fiume e di Abbazia (1441-1945), Carucci, Roma 1979, p. 87; M. Bianco – A. De Simone Palatucci, Giovanni Palatucci un giusto e un martire cristiano, op. cit., p. 415).

[11] F.G.P.M., Lettera di mons. Giuseppe Maria Palatucci all’avv. Ernesto Franchi, 18 maggio 1953. Successivamente mons. Ferdinando Palatucci suggerì un’altra pista più suggestiva, ma che in realtà non sembra avvalorata da elementi probanti, secondo cui l’audace questore di Fiume sarebbe stato vittima della delazione della consorte, di origini tedesche, di un commissario di P.S. che la sera precedente al suo arresto era stata a cena, insieme al marito, con Palatucci (citato in M. Bianco – A. De Simone Palatucci, op. cit., nota a p. 419).

[12] A. Luksich Jamini, Il salvataggio degli ebrei a Fiume durante la persecuzione nazi-fascista, in “Il movimento di liberazione in Italia”, luglio 1955, n.37., 1955, pp. 45 e sgg.

[13] Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino 1993 (4a ed.).

[14] Il commissario Battilomo, come riferisce a chi scrive il figlio Bruno, «era sospeso dal servizio ed in attesa di processo quando il 3 maggio del 1945 i titini invasero Fiume. Rimastovi inizialmente per badare alla sua famiglia dopo tre mesi riuscì a recarsi alla Questura di Udine (la più vicina essendo quella di Trieste non più in mano italiana) e da questa fu inviato dal Capo della Polizia che, dopo un altro paio di mesi, lo reinserì nel suo incarico. Prima di accomiatarsi mio padre chiese però un periodo di congedo per poter tornare a Fiume per poter prendere i suoi familiari e portarli in Italia. Aggiunse inoltre che avrebbe approfittato dell’occasione per poter inviare informative al Ministero, più dettagliate di quelle poche che già aveva fatto pervenire nei primi mesi dell’occupazione titina. Il Capo della Polizia gli vietò tassativamente di farlo, data la pericolosità della situazione locale. Non è agli atti ma in seguito mia sorella maggiore mi disse che papà era riuscito a sapere che il segretario del Capo della Polizia era un comunista che comunicò le intenzioni di mio padre alla segreteria nazionale del Partito Comunista e che questa poi contattò l’OZNA per cui, poco dopo il suo ritorno a fiume fu arrestato nel febbraio del 1946. Dopo un paio di settimane dovevano arrestare anche mia madre ma lei fu però avvertita da un tenente della stessa OZNA – suo vecchio amico da ragazzina – e riuscì a fuggire in Italia, lasciando me e mia sorella da mia nonna.

Papà, senza processo, fu inizialmente condannato a 6 anni di campo di concentramento. Dall’elenco dello stato Jugoslavo di circa 25 anni fa – come noterà nell’ultima parte del diario – la pena risulterà poi di 3 anni. In realtà fu di 2 anni e qualche mese in quanto fu ufficialmente “rilasciato” nel 1948.  Ho scritto tra virgolette rilasciato perché da alcuni racconti fatti da mia sorella maggiore, convalidati da altri comunicatimi dal fratello di mia madre, sembra che sia stato scambiato con un’altra spia». Infine, chiosando quanto fin qui dichiarato, ha aggiunto: «Ciò, lo seppi in seguito, perché il suo arresto avvenne con l’imputazione di spionaggio» (Testimonianza rilasciata all’autore da Bruno Battilomo, Ascoli Piceno, 26 marzo 2020). Le motivazioni che indussero il reggente la Questura di Fiume a formulare lo stato d’accusa nei confronti dei coniugi Battilomo.

[15] Archivio privato Bruno Battilomo, Diario di Mario Battilomo (29 luglio – 25 dicembre 1944), Appunto di venerdì 15 settembre 1944 ore 20,30. Il 14 agosto, infatti, come annota tra le pagine del suo diario Battilomo, alle 21,25, si era recato in Questura presso l’ufficio di Palatucci con l’auspicio che, di ritorno dal Ministero, «avrebbe portato come sussidio almeno una mensilità di stipendio, cioè tre-quattromila lire. A tal uopo – come sottolinea lo stesso Battilomo – sono andato in Questura, ma né Tonino, né Palatucci erano in Ufficio.

Quando è venuto Palatucci mi ha detto che il Capo non ne ha voluto sapere, dicendo che però essi della Questura potevano continuare a darmi qualche sussidio» (Ivi, 14 agosto 1944 ore 21,25). Mantenne la promessa tant’è che, nel pomeriggio del 23 agosto successivo, Battilomo scrive: «Palatucci mi ha dato 1.500 lire» (Ivi, 23 agosto 1944 ore 20,45).

[16] Ivi, Domenica 9 novembre 1944 ore 19,10. Non ancora pago delle informazioni raccolte fino a quel momento, il 12 novembre, così scriveva:

«Sono stato fin quasi all’una con Maione che mi ha parlato a lungo di Palatucci e poi…» (Ivi, Domenica 12 novembre 1944 ore 20.30).

[17] Ivi, Mercoledì 20 settembre ore 20.

[18] Ivi, Domenica 24 settembre 1944 ore 11. Il 28 ottobre successivo, inoltre, verso le 19, Battilomo annota nel suo diario: «Passando davanti alla casa dove abitava Palatucci, mi son ricordato di quanto avevo appreso in mattinata in Questura e che cioè, i tedeschi avevano svuotato la casa» (Ivi, 28 ottobre 1944 ore 19).

[19] Purtroppo l’appunto in calce al verbale vergato a mano dal vicecommissario Emilio Filippi non risulta molto chiaro e non consente di risalire al nome esatto della località del Comando di Polizia tedesco. Inoltre, da ulteriori e più approfondite indagini effettuate da chi scrive presso vari archivi, tra cui l’Archivio di Stato di Fiume, il Bundesarchiv Abteilung Deutsches Reich di Berlino, il Magyar Nemzeti Levéltár di Budapest, l’Historical Research Officer Library and Public Archives Unit dell’International Committee of the Red Cross (ICRC) di Ginevra, l’Archivio federale svizzero (Service des analyses historiques) di Berna, l’Archivio di Stato del Cantone Ticino di Bellinzona e l’Archivio di Stato dei Grigioni di Coira, non ha consentito di rintracciare informazioni sul tenente Ufkun, anche con altre varianti.

[20] Il maresciallo Bruno Zanini ed il vicebrigadiere Vincenzo Gigante, come molti altri loro colleghi, saranno arrestati, rispettivamente il 23 giugno e il 4 maggio 1945, dagli uomini dell’OZNA – il servizio segreto jugoslavo – e fucilati nel campo di Grobnico a nord di Fiume dai partigiani titini.

[21] D.A.R., HR-DARI 53 Rijećka Kvestura, Kabinetski Spisi, Osobni Dosje, Fascicolo “Frossard Marcello”, Verbale dell’interrogatorio del conte Marcel Frossard de Saugy firmato dal vicecommissario Emilio Filippi, 23 settembre 1944. Successivamente, il 19 novembre 1945, gli fu rilasciato un altro passaporto n. 175651; stavolta dal Console svizzero a Trieste Emilio Bonzanigo,

[22] Cfr. T. Malec, Moj oče – Črni brat in njegov čas, op. cit., pp. 416-417.

[23] Cfr.  ITS, NARA Zugangsbuch Nr. 114/054527, ITS 140/139, ITS 1.1.6.7/GAIL-GEIR/1035, vedi anche Ivi, 1 Inhaftierungsdokumente, 1.1 Lager und Ghettos, 1.1.6 Konzentrationslager Dachau, Individuelle Häftlings Unterlagen – KL Dachau, Signatur 01010602 oS, Anzahl Dokumente 329273, [in rete] https://collections.arolsen-archives.org/G/SIMS/01010602/0263/55873330/001.jpg (9 febbraio 2020).

[24] Gregorio Giuseppe Gregori, nato il 10 maggio 1924 a Piovene Rocchette in provincia di Vicenza. Fu deportato a Dachau il 21 ottobre 1944 e gli fu assegnata la matricola n. 117.295. Categoria: Sch.Itl., ID: 30768, Page: 1868/Su, Disk: 2, Frame: 135.

© Giovanni Preziosi, 2020

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