Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche della Prima Armata del Fronte Ucraino agli ordini del maresciallo Ivàn Koniev, spalancano i cancelli del lager nazista di Auschwitz  e davanti allo sguardo inorridito e sgomento dei militari sovietici, scorrono come in un film le immagini macabre dello sterminio del popolo ebraico, perpetrato dalla follia di un uomo, Adolf Hitler.
Proprio in quella circostanza l’umanità ha preso consapevolezza fin dove la malvagità può giungere e le orribili nefandezze che un uomo è capace di commettere in spregio della vita altrui.
Da quel giorno, dunque, il 27 gennaio di ogni anno, per non dimenticare, anche il Parlamento italiano – con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 – ha deciso di istituire il “Giorno della Memoria”, in “ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”.

In questa settimana tanti sono gli appuntamenti che si registrano in ogni parte d’Italia, per onorare degnamente tale significativa ricorrenza. Alcuni potete trovarli nella pagina degli Eventi.
Una riflessione più approfondita chi scrive ha deciso di realizzarla attraverso un circostanziato articolo che, appena sarà dato alle stampe, verrà puntualmente riportato anche in queste pagine.
Nel frattempo, per ripercorrere le tappe principali della Shoah, vi propongo la visione di questi video, che mi sembra più eloquente di ogni altra parola!

La storia che stiamo per raccontarvi si svolge proprio in quegli anni convulsi e vede per protagonisti il futuro Papa Giovanni XXIII, al secolo Giuseppe Angelo Roncalli, a quel tempo delegato apostolico in Turchia e amministratore apostolico “sede vacante” del Vicariato apostolico di Istanbul (27 novembre 1934) e poi Nunzio Apostolico a Parigi (20 dicembre 1944) che, insieme al Visitatore Apostolico in Croazia, l’abate benedettino di Montevergine Giuseppe Ramiro Marcone, nel salvataggio di un gruppo di ebrei braccati dai nazisti che già avevano dato inizio in grande stile a quella che passò alla storia col termine di “soluzione finale della questione ebraica” sancita ufficialmente il 20 gennaio 1942 nel corso della conferenza di Wannsee.

Nella primavera del 1943, in gran parte dell’Europa occidentale e balcanica, riprese vigore con particolare violenza la persecuzione degli ebrei. Era il preludio di quella scellerata “soluzione finale” che anche in Croazia scattò all’indomani della visita del famigerato capo delle SS, Heinrich Himmler, giunto a Zagabria ai principi di maggio per liquidare definitivamente la questione ebraica.  

Dimorando [Himmler] qui – osservava l’inviato della S. Sede Marcone il 10 maggio 1943 in uno dei tanti rapporti inviati al cardinal Maglione – sono stati ricercati gli ultimi ebrei residenti nella Capitale e in tutta la Croazia e deportati in Germania. Si calcola che ne siano stati catturati circa 600. Ora non restano che pochi ebrei nascosti e fuggiaschi. La Gestapo dirigeva le operazioni di ricerca coadiuvata dalla polizia croata. Tanto io, quanto l’arcivescovo [Stepinac] non abbiamo trascurato di recarci presso il ministro degli interni per perorare la causa ebraica.  

L’eco di questa triste vicenda, poco dopo, giunse perfino all’orecchio del Delegato Apostolico in Turchia, mons. Angelo Roncalli che, il 26 maggio, ne apprese tutti i particolari dalla responsabile della sezione turca della Women International Zionist Organization Maria Bauer e dal delegato di un’agenzia di soccorso agli ebrei europei, Meir Touval-Weltmann i quali, quasi ogni settimana si recavano alla delegazione per consegnare liste di nomi di intere famiglie ebree bloccate con i loro bambini nei territori occupati dall’Asse che, puntualmente venivano recapitati alla S. Sede mediante mons. Victor Hugo Righi. 

L’11 giugno successivo, in uno di questi incontri, il dr. Weltmann consegnò al Delegato Apostolico una lettera per ringraziarlo della «benevolenza paterna di Vostra Eccellenza in favore dei nostri rifugiati ebrei», non mancando di sottolineare, in un circostanziato “promemoria” allegato alla missiva, l’opera encomiabile svolta dalla S. Sede nel salvataggio degli ebrei. 

Noi sappiamo – scriveva Weltmann – che mons. Stepinac ha fatto tutto il possibile per aiutare ed alleviare la sorte infelice degli Ebrei in Croazia, il cui numero oggi, secondo informazioni non supera i 25.000, comprese le donne e i bambini. 

Allo stesso tempo lo pregava di esortare il presule croato a continuare 

con il suo alto prestigio e la sua attività, a salvare i loro infelici fratelli, specialmente quelli già arrestati nel mese precedente insieme con il Presidente Dott. Hugo Kon e il Rabbino Dott. Miroslav Freiberger

Miroslav Shalom Freiberger, 9 Gennaio 1903 – 8 Maggio 1943)

Il 23 febbraio 1943 il visitatore apostolico a Zagabria, l’abate benedettino Giuseppe Ramiro Marcone, in una lettera inviata al cardinale Maglione comunicava che:

Il Rabbino Maggiore di Zagabria mi ha pregato di esprimere i suoi vivissimi ringraziamenti alla S. Sede per l’aiuto efficace da essa prestato nel trasferimento di un gruppo di ragazzi ebrei da Zagabria in Turchia.
Tra essi vi è pure il figlio del Rabbino Maggiore.
Egli sta organizzando un’altra spedizione in Turchia di piccoli ebrei.

Actes et documents du Saint Siège relatifs a la seconde guerre mondiale, Le Saint Siège et les victimes de la guerre janvier 1941 – decembre 1942, nota 62 Il visitatore apostolico a Zagabria Marcone al cardinal Maglione, Rap. nr. 712/43 (A.E.S. 437/43, orig.)Zagabria, 23 febbraio 1943, Ringraziamenti del Grand rabbino di Zagabria a Pio XII per l’assistenza offerta in favore di un gruppo di bambini ebrei, pag. 139.

Nel febbraio del 1943, infatti, il Gran Rabbino di Zagabria, Miroslav Freiberger, attraverso il visitatore apostolico Marcone, aveva fatto pervenire al pontefice il suo ringraziamento per l’aiuto concesso nell’emigrazione di un gruppo di bambini ebrei in Turchia. Pio XII, attraverso il suo internunzio Angelo Roncalli, intervenne presso il governo turco per non aver paura di accettare imbarcazioni con bambini ebrei provenienti dai Balcani minacciati di deportazione ad Auschwitz.

Scriveva, mons. Angelo Roncalli nel Giornale dell’Anima riguardo questa vicenda:

Poveri figli di Israele. Io sento quotidianamente il loro gemito intorno a me. Li compiango e faccio del mio meglio per aiutarli.

Difatti, il 30 maggio 1943, il delegato apostolico a Istanbul Roncalli afferrò carta e penna e scrisse al cardinal Maglione per chiedere l’intervento a beneficio di un gruppo di ebrei, esprimendosi in questi termini:

Riferendomi suo telegramma n. 153,” Agenzia Jewish… Palestina, riconoscentissima Santa Sede suo intervento favore ( ?) ebrei slovacchi, informa che sono circa 15oo i fanciulli cui urge interessamento presso governo ungherese per assicurare loro transito ( ?) verso Palestina.
Medesima Agenzia supplica per intervento favore 400 ebrei Croazia deportati con presidente Ugo Konn et gran rabbino Freiberger. Forse
trovansi ( ?) ancora campo di concentramento Jasenovats ovvero Staragradiskas. Agenzia desidererebbe precise notizie essendo disposta
incaricarsi trasmissione immediata Palestina.

Actes et documents du Saint Siège relatifs a la seconde guerre mondiale, Le Saint Siège et les victimes de la guerre janvier 1941 – decembre 1942, nota 208 Il delegato apostolico a Istanbul Roncalli al cardinal Maglione, Tel. nr. 114 (A.E.S. 3460/43) Istanbul, 30 maggio 1943, Domanda di un intervento in favore di un gruppo di ebrei, pagg. 321-322.
Marcone, Pavelic e don Giuseppe Masucci

Naturalmente, anche mons. Roncalli, appena venne a conoscenza di queste orribili nefandezze che si stavano consumando ai danni degli ebrei croati, afferrò carta e penna e il 30 maggio inviò un telegramma alla Segreteria di Stato chiedendo l’intervento immediato per un gruppo di 400 profughi ebrei croati internati nel campo di concentramento di Jasenovac, tra i quali figuravano anche il presidente della comunità ebraica di Zagabria Ugo Konn e il Rabbino Capo Miroslav Šalom Freiberger aggiungendo, inoltre, che la Jewish Agency era «disposta (ad) incaricarsi (della) trasmissione immediata (in) Palestina»

Il cardinal Maglione appena lesse il telegrammail 2 giugno successivo, immediatamente scrisse al Visitatore Apostolico Marcone, pregandolo di fare tutto il possibile per alleviare le sofferenze degli ebrei barbaramente rastrellati e internati nei campi di concentramento in vista della deportazione nei lager nazisti. Le direttive impartite dalla della Segreteria di Stato furono puntualmente applicate tant’é che, in più di una circostanza, il segretario del Visitatore Apostolico, don Giuseppe Masucci, si adoperò con coraggio e ingegno, per salvare gli ebrei dal loro triste destino a cui andavano incontro. 

Don Giuseppe Masucci a Zagabria

L’8 luglio 1943, infatti, appena fu informato che la famiglia del medico di origini ebraiche Rechnitzer stava per essere deportata, subito si precipitò presso la loro abitazione e li accompagnò personalmente fino alla stazione per assicurarsi che riuscissero a fuggire. Giunti sul luogo, tuttavia, l’audace monaco benedettino, tuttavia, si accorse che doveva rapidamente trovare un escamotage perché la zona era presidiata da cima a fondo dalla polizia. 

Mentre rifletteva gli sembrò di scorgere tra la folla una persona di sua conoscenza. Neanche a farlo apposta si trattava proprio di Ciro Verdiani, che dal maggio del 1941era stato inviato a Zagabria per dirigere l’Ispettorato Generale di Polizia e l’11a Zona Ovra. Naturalmente, il buon frate non si lasciò sfuggire l’occasione per interporre i suoi buoni uffici con l’alto funzionario di P.S. il quale, in un batter d’occhio, ordinò ai gendarmi di lasciar passare la famiglia Rechnitzer che, non credendo ai propri occhi, tirando un lungo sospiro di sollievo s’infilò in un vagone che li avrebbe condotti sani e salvi in Italia. Ma ecco come descrive, con dovizia di particolari, questo episodio don Giuseppe Masucci nelle pagine del suo diario: 

Nonostante la notevole difficoltà sono riuscito a portare alla stazione ferroviaria la famiglia del medico Dr. Rechnitzer e li ho aiutati a fuggire; dopo che avevano ricevuto dalla polizia l’ordine di prepararsi per la deportazione, il dr. Rechnitzer è venuto da me in compagnia della signora Primavera (nome fittizio). Li ho accompagnati con la loro auto alla stazione ferroviaria, dove ho incontrato per caso il supervisore capo della polizia italiana Verdiani, della delegazione della polizia italiana a Zagabria per l’addestramento della polizia croata. Poiché era un uomo gentile e generoso, mi ha aiutato ogni qualvolta si è presentata la necessità, a prescindere dalla posizione politica. Ha capito subito il mio desiderio, e ha ordinato alle autorità italiane che erano alla stazione per il passaggio dei treni italiani, di far imbarcare la famiglia Rechnitzer su un treno in partenza per l’Italia. 

Andrija Artuković, Alojzije Stepinac e Giuseppe Ramiro Marcone

In realtà, il segretario dell’abate Marcone poteva avvalersi di queste amicizie influenti nelle alte sfere della gendarmeria anche grazie al fratello Alfonso che, proprio il 24 giugno 1943, aveva ricevuto dal ministero della guerra l’incarico di capitano della delegazione militare italiana a Zagabria. Fin dal suo arrivo nella capitale croata don Giuseppe Masucci aveva preso talmente a cuore la sorte degli ebrei e di tutti gli altri perseguitati, che non perdeva occasione di raccomandare alle autorità «di avere misericordia verso chi soffr[iva]», al punto che, come scrive nel suo diario, si guadagnò persino «il soprannome di Avvocato degli Ebrei» dal ministro dell’Interno Artukovic.

Il Rabbino Isaac Herzog

In segno di riconoscenza per gli sforzi compiuti dalla S. Sede, il 28 febbraio 1944, il rabbino capo di Gerusalemme, Isaac Herzog, inviò due distinti telegrammi sia a mons. Roncalli e sia all’abate Marcone, in cui scriveva che 

il popolo d’Israele non dimenticherà mai i soccorsi portati ai nostri sventurati fratelli e sorelle da Sua Santità e dai suoi illustri delegati, nell’ora più triste della nostra storia.

In effetti, non fu solo questo il caso di cui si occupò l’abate Marcone, insieme al suo fedele braccio destro il suo segretario padre Giuseppe Masucci. Compulsando i 170 fascicoli sugli “ebrei” della Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali sul pontificato di Pio XII, recentemente resi accessibili dall’Archivio Apostolico della S. Sede, è riaffiorato un carteggio tra il Visitatore Apostolico a Zagabria e la Segreteria di Stato di Sua Santità, per esortarlo ad interporre i suoi buoni uffici presso le autorità ustascia allo scopo di ottenere la liberazione della quarantaduenne Vera Herzog di origini ebraiche che nel 1938 si era convertita al cattolicesimo, che era stata internata nel campo di concentramento di Loborgrad presso Zlatar.

La segnalazione era giunta il 10 giugno 1942 dal vescovo di Melfi mons. Domenico Petroni a Mons. Montini che, appena due giorni dopo, provvide a trasmetterla personalmente a Monsignor Angelo Dell’Acqua, che all’epoca era minutante alla prima Sezione degli Affari ecclesiastici straordinari della Segreteria di Stato della S. Sede il quale, il 15 giugno successivo, interpellò il Visitatore Apostolico a Zagabria per adoperarsi presso le autorità croate allo scopo di ottenere la liberazione della signora Herzog.

All’inizio la faccenda appariva davvero complicata, come del resto non mancò di far notare nei primi dispacci lo stesso abate Marcone, a causa dell’ostilità riscontrata sia dal Capo della Polizia e sia dal Ministro degli Interni ustascia. Perfino il Poglavnik Župan, carica molto importante presso il Capo del Governo, il 2 luglio aveva dichiarato al segretario del Visitatore Apostolico, padre Giuseppe Masucci quanto segue:

Riferendomi alla vostra lettera che mi favoriste inviare circa alcuni Giudei (fra cui la Signora Vera Herzog), per i quali avremmo dovuto fare delle eccezioni alla legge generale promulgata dal Governo Croato, mi onoro comunicarvi che non possiamo non applicare le stesse misure per le persone che ci raccomandate, essendo esse comuniste o per lo meno di idee comuniste.

Tuttavia, l’abate Marcone non si diede per vinto e, dopo reiterate richieste, il 17 luglio 1942, finalmente, riuscì a portare a termine la delicata missione che aveva ricevuto dalla S. Sede, comunicando al Segretario di Stato Maglione che:

Il Capo della Polizia Eugenio Kvaternik mi comunica che in seguito all’interessamento della S. Sede ha liberato la Signora Vera Herzog.

Città del Vaticano, Archivio Storico della Segreteria di Stato – Sezione per i Rapporti
con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali (ASRS), Fondo Congregazione degli
Affari Ecclesiastici Straordinari (AA.EE.SS.), Pio XII, parte I, serie Ebrei, Pos. 60, f. 80);
Lettera dell’abate di Montevergine Giuseppe Ramiro Marcone al Segretario di Stato di S. Santità Card. Luigi Maglione,
Zagabria, 17 luglio 1942.

© Giovanni Preziosi, 2025

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